Il termine “metaverso” fu coniato dallo scrittore Neal Stephenson nel romanzo Snow crash (1992). Nel libro – dice la Treccani –, il metaverso è “uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar personalizzati”. Col tempo, però, la parola ha cominciato a definire molti più aspetti, e oggi si utilizza per intendere un concetto leggermente diverso.
Il giornalista Matthew Ball lo definisce come “un mondo virtuale che può ospitare tutte le forme della cultura pop, in un universo condiviso popolato da centinaia di milioni di persone”. Gene Park, invece – giornalista del Washington Post esperto di tecnologia e videogiochi –, scrive che l’idea più largamente diffusa vuole il metaverso come uno spazio “sempre online e persistente – con eventi pianificati e spontanei che accadono di continuo – mentre allo stesso tempo viene fornita un’esperienza che attraversa e opera fra le piattaforme e il mondo reale”. Quest’ultima definizione – probabilmente la più accurata – è quella che la maggior parte delle persone ha imparato a conoscere quando Mark Zuckerberg ha presentato Meta.
Il metaverso, quindi, è un mondo virtuale dove la gente può interagire con altre persone e con l’ambiente, comprando servizi o prodotti, lavorando o andando al cinema. O, più semplicemente, vivendo.
Dopo Snow Crash, il metaverso è stato esplorato in vari altri romanzi e film, poi Ernest Cline – scrive Roberto Recchioni – “ha capito che se il metaverso di Stephenson fosse esistito realmente, non sarebbe stato popolato da avatar personalizzati e immaginifici, figli della creatività degli utenti, quanto da modelli presi dalla cultura pop preesistente”. Questa idea è alla base del suo romanzo Ready Player One – uscito nel 2011 e adattato al cinema sette anni più tardi –, e anche delle varie definizioni che abbiamo visto prima.
Il metaverso "pop" di Ready Player One
Il metaverso del libro, per altro, è un videogioco in realtà aumentata, e non è un caso che gli esperimenti sul metaverso eseguiti fino ad oggi siano stati proprio dei videogiochi – ispirati sia alle idee di Stephenson, sia a quelle di Cline. Al momento, uno dei giochi che probabilmente assomiglia di più al loro metaverso è Fortnite.
Il videogioco di Epic Games, in effetti, assomiglia molto a uno spazio virtuale popolato da diverse forme della cultura pop in cui le persone “vivono” – giocano – quotidianamente. Nel corso del tempo, Fortnite ha messo a disposizione gli avatar più svariati: John Wick, Aquaman, Deadpool, il T-1000, Master Chief, Predator, lo Xenomorfo di Alien, Kratos. Nella modalità Party Royale, durante i primi lockdown, i giocatori hanno potuto guardare alcuni film di Cristopher Nolan nel cinema virtuale dell’isola; in pratica, centinaia di persone da ogni angolo del mondo hanno condiviso l’esperienza cinematografica dal divano di casa propria e insieme ad altre centinaia di persone – tutte “nascoste” dietro ad avatar pop.
Ovviamente, quando si parla di videogiochi-metaverso, non si può citare solo Fortnite. Anche The Sims, Second Life, Animal Crossing: New Horizons o Horizon Worlds si basano sugli stessi principi, e sono tutti esempi altrettanto validi.
(fonte: Fortnite)
Il metaverso, come abbiamo detto, è un mondo online del tutto simile al nostro – con case, locali, negozi e luoghi turistici – in cui fare virtualmente e in modo più “nerd” tutte le cose che facciamo già. L’esempio del cinema in Fortnite è piuttosto calzante per capire il meccanismo generale. Invece di uscire, andare al cinema, guardare il film e tornare a casa, nel metaverso basta accendere la tv o il pc, recarci in un cinema virtuale, goderci il film su uno schermo di 0 e 1 – insieme ad altra gente che sta facendo lo stesso chissà da dove – e poi spegnere tutto.
Roberto Recchioni, nell’articolo citato prima, fa un esempio piuttosto interessante. Parlando proprio dei film, infatti, immagina Netflix non come un’applicazione, ma un pianeta “in cui approdare per poi recarsi in un cinema iMax e guardare il film da noi prescelto su un mega-schermo virtuale”. La stessa cosa – scrive – potrebbe funzionare per Amazon, perché sarebbe un luogo “fisico” dove entrare coi nostri avatar per fare la spesa come in un immenso centro commerciale.
Chiaramente, si potrà scegliere di entrare nel metaverso con i dispositivi per la realtà aumentata – e quindi essere “fisicamente” dentro al cinema virtuale –, oppure guardare normalmente il film dal proprio schermo. In entrambi i casi, atterrare sul pianeta-Netflix nei panni di Batman per guardare Godzilla vs. King Kong è stuzzicante.
Guardare un film o un concerto dei BTS sull’isola del Party Royale di Fortnite può dare un’idea approssimativa di quello che può essere il metaverso. Chiaramente, i dispositivi per la realtà aumentata non sono ancora diffusi e radicati, né su Fortnite si può andare a fare la spesa o guadagnare criptovaluta facendo un lavoro – così come invece il metaverso andrebbe idealmente vissuto –, però i negozi esistono già.
Lo scorso anno, Balenciaga ha creato una linea di abiti esclusivi per il videogioco. In particolare, dal 21 al 28 settembre, i giocatori hanno potuto visitare il negozio virtuale del marchio spagnolo e provare i costumi per i loro avatar. Le aziende che hanno deciso di investire in pubblicità nel metaverso sono già tante: Balenciaga con Fortnite, Benetton con Animal Crossing: New Horizons, Dolce&Gabbana con Decentraland.
Decentraland è un videogioco molto simile a The Sims: usando un avatar altamente personalizzabile, si può vivere in una città virtuale dove fare tutte le cose che si possono fare anche in una città vera. Nelle strade ci sono cartelloni pubblicitari di Dolce&Gabbana o Tommy Hilfiger; c’è una sede di Sotheby’s in cui si può partecipare alle aste; ci sono gallerie dove è possibile comprare opere d’arte sottoforma di NFT.
Sin dall’inizio, poi, le persone hanno comprato appezzamenti di 0 e 1 – pagando in criptovaluta –, perché molti ritenevano che fosse come arrivare in una landa desolata e accaparrarsi per primi i terreni migliori. Oggi, un appezzamento in Decentraland vale come minimo 12mila euro – nel 2017, quando la piattaforma ha cominciato la vendita, costava poco meno di 20 –, ma il prezzo varia in base alla zona: in centro costa di più, ovviamente; in periferia di meno. Anche qui, infatti – come nel nostro mondo –, esistono negozi, casinò e ritrovi – tutti visitabili.
Grazie alle società di consulenza immobiliare del metaverso, ogni utente può decidere cosa fare con il proprio appezzamento: rivenderlo, usarlo per costruirci sopra qualcosa, lasciarlo vuoto in attesa di investimenti futuri. In un interessante articolo su Wired, Eric Ravenscraft dice che “comprare proprietà su queste piattaforme è come comprare terreni a Manhattan, ma in un mondo dove chiunque può creare velocemente un numero infinito di Manhattan alternative che sono altrettanto facili da raggiungere”. È proprio questo, infatti, il problema del metaverso di oggi: The Sims, Decentraland e Horizon Worlds – come si può intuire – non sono il metaverso, ma tanti metaversi differenti.
In SuperWorld, la gente può comprare i luoghi del mondo reale: casa propria, il punto in cui sorge il Colosseo, il parco di Yellowstone. The Sandbox e VRChat sono piattaforme in cui gli utenti possono creare sfide e minigiochi. Sette anni fa, Second Life – piattaforma non dissimile da Decentraland – aveva 900mila utenti attivi al mese. Anche Meta aspira a creare un metaverso simile.
In Animal Crossing: New Horizons, ogni utente ha a disposizione la propria isola personalizzabile, e gli altri giocatori possono visitarla. Nel 2020, Joe Biden ha tenuto un comizio elettorale su un’isola concepita apposta; Benetton ha creato un’isola in cui esplorare gli abiti del marchio; l’Università di Macerata, durante i primi lockdown, ha tenuto alcune lezioni sull’isola dell’ateneo.
Joe Biden sulla sua isola di Animal Crossing: New Horizon (fonte: Joe Biden campaign)
Anche Seul vuole dar vita a un metaverso per i suoi cittadini. L’idea è quella di creare uno spazio online in cui poter fare giri turistici, visitare siti archeologici ricostruiti e sbrigare pratiche amministrative, trasformando la Corea – scrive Il Post – in “uno dei primi governi a offrire servizi interamente in un mondo virtuale, in cui sarà possibile interagire con le altre persone collegate simultaneamente attraverso degli avatar e tramite occhiali e visori per la realtà virtuale”.
Idealmente, il metaverso dovrebbe essere come Internet, ma un Internet in tre dimensioni dentro cui si può “entrare” grazie alla realtà aumentata – un Internet dove Facebook è un condominio, Google un pianeta, Netflix un drive-in all’aperto. Passeggiare nel metaverso dovrebbe essere come andare in un parco divertimenti in cui le attrazioni sono siti, applicazioni o piattaforme.
Con tutta probabilità, la rappresentazione più vicina al metaverso ideale è l’Internet di Ralph Spacca Internet. A questo punto, uno dei metaversi di cui abbiamo parlato potrebbe inglobare gli altri, diventando l’unico e vero metaverso; oppure, come nulla fosse, potrebbero continuare a esistere tutti quanti, e gli utenti potranno decidere quali usare.
Oltre a questo, però – e cioè che al momento un metaverso unico e uguale per tutti non esiste ancora –, ci sono anche alcuni problemi più “tecnici”. Qualche tempo fa, per esempio, ha suscitato diverse polemiche il pellegrinaggio alla Mecca nel metaverso – che, secondo molti, non varrebbe come quello vero. Nell’attuale metaverso di Meta, invece – il già citato Horizon Worlds –, c’è stato un caso di molestie. L’avatar di una donna è stato palpeggiato dall’avatar di un’altra persona, e i presenti non sono intervenuti. Anche se i dispositivi per la realtà aumentata non hanno ancora dei sensori tattili – e anche se l’avatar non è la persona “reale” –, il comportamento è stato comunque pessimo: una molestia, per essere definita tale, non dev’essere necessariamente fisica.
È abbastanza preoccupante che anche Meta voglia il metaverso. Da un certo punto di vista, in realtà, il suo capitale e la sua dimensione gli permettono investimenti che altri non possono fare, e questo potrebbe davvero condurre alla nascita di un metaverso funzionale, conosciuto da tutti e usato da molti; dall’altro lato, però, l’annuncio è “casualmente” arrivato proprio quando Facebook ha cominciato a perdere iscritti. Il bacino di utenza del social non è esattamente giovane, ma il metaverso è senz’altro una trovata – anche pubblicitaria – che può avvicinare la Generazione Z.
Non bisogna dimenticare, poi, che nei mesi precedenti all’annuncio il social è stato travolto da numerosi scandali – non ultimi quelli sulla disinformazione. Per Recchioni, il metaverso serve a Zuckerberg per “distogliere l’attenzione dagli aspetti brutti della sua società e tenere agganciati gli investitori con la promessa di qualcosa di straordinario e dall’infinito potenziale economico all’orizzonte”. Davvero vogliamo immergerci nella realtà virtuale di Facebook sapendo ciò che Facebook è e ciò che ha fatto nella realtà reale?
Sono nato in Romagna (terra “solatia, dolce paese”, come scriveva Pascoli) e da qui mi sposto sempre a malincuore. Guardo un sacco di film e monto un sacco di Lego, ma a volte esco anche di casa per andare in libreria. Scrivo per capire il mondo che mi circonda, in qualsiasi forma si presenti.