L’informazione e i media svolgono un ruolo fondamentale: non solo orientano e plasmano l’opinione pubblica, ma sono anche una cartina tornasole per comprendere la realtà e lo stato di salute della società. Come afferma Agnese Pini, giornalista e direttrice responsabile de Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino e QN Quotidiano Nazionale, è dall'informazione che passa il senso comune, ed è proprio per questo motivo che chi lavora in questo ambito dovrebbe, ancor prima e meglio di altri, comprendere l’importanza dell’utilizzo di un linguaggio "adatto", giusto e inclusivo. La formazione giornalistica e la deontologia sono importanti, certo, ma non bastano. Di pari passo deve svilupparsi una maggior consapevolezza rispetto alla valorizzazione delle competenze femminili, che dovrebbero essere rappresentate al pari di quelle maschili. Inoltre, non deve mancare una buona dose di empatia, essenziale per mettersi nei panni dell’altro e capire se la sua rappresentazione sia rispettosa.
Il primo ostacolo che si frappone è quello dei cosiddetti bias cognitivi, spesso sconosciuti, che tendono a "offuscare" la realtà e a spiegarla in maniera miope. È importante, perciò - come sottolinea nel suo intervento il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Silvestro Ramunno -, ricordare la forte responsabilità dei media verso l’opinione pubblica, in quanto ogni giorno hanno il potere di decidere se illuminare o meno nuove personalità femminili, restituendo loro pari opportunità di rappresentanza.
Se si prendono come esempio i quotidiani, come fa notare Paola Rizzi dell’associazione GiULiA giornaliste, i numeri rivelano la realtà delle cose: nella maggior parte dei casi, le firme maschili sono molte più di quelle femminili, come maschili sono i "leader" e le personalità preferiti per le interviste. Questo avviene perché si tende a dare poca rilevanza a donne che ricoprono certi ruoli, anche importanti, e alle donne in generale.
Tuttavia, non è importante solo quanto se ne parla, ma anche e soprattutto come lo si fa. Purtroppo, quando sono rappresentate, le donne vengono spesso de-gerarchizzate utilizzando il loro nome di battesimo, o il loro ruolo di madre, moglie, figlia e sorella. Insomma, in fin dei conti le voci femminili all’interno dell’informazione, nonostante i passi avanti fatti e le conquiste ottenute, restano ancora troppo poche.
Analizzando i dati emersi dalla sesta edizione del Global Media Monitoring Project (GMMP) 2020 - lo studio internazionale più vasto sulla rappresentazione di uomini e donne nell’informazione che coinvolge 116 paesi, riguarda più di 30.000 notizie raccontate da stampa, radio, televisione e organi di informazione online -, si capisce bene quanto la situazione sia tuttora infelice. La metodologia d'indagine procede lungo due binari paralleli: l’analisi qualitativa e quantitativa del contenuto (content analysis) e quella delle cosiddette buone e cattive pratiche (case studies). Sebbene rispetto alla prima edizione dello studio (1995) i dati siano cambiati e migliorati rispetto al cosa, come e quanto si presenti l'informazione in una prospettiva di genere, la strada da fare è ancora molta: basti pensare che, ancora oggi, le donne sono soggetti delle notizie solo nel 25% dei casi. Il risultato è che i media, nel loro contribuire a plasmare la realtà, finiscono col distorcerla, dimezzando la componente femminile e sottostimandolo rispetto al reale.
Nel nostro Paese la situazione è pressocché la stessa. Dal 1995 al 2020, infatti, è stato registrato un +17% nella percentuale delle donne newsmaker o fonti di informazione, che è arrivata al 26%. Tra i tipi di media, invece, a spiccare è la radio, dove questa percentuale raggiunge il 32%. Un altro dato che emerge vede le donne meno interpellate degli uomini in quanto esperte in un determinato ambito: la percentuale è del 12% per stampa, tv e radio e del 14% per Internet e Twitter. Le percentuali più alte di donne newsmaker e fonti dell’informazione riguardano, invece, per il 63% l’opinione popolare nei media tradizionali, e per il 50% l’esperienza personale su Twitter e Internet. Infine, il dato che più di tutti balza all’occhio: le donne "fanno notizia” molto più degli uomini in quanto vittime. Questo, come afferma Monia Azzalini dell’Osservatorio di Pavia e coordinatrice per l’Italia GMMP, non fa altro che rimarcare e dare maggiore valenza allo stereotipo che considera le donne come "sesso debole".
Dato che spesso le persone non hanno una percezione corretta della presenza delle donne nell'informazione digitale, si è sentito il bisogno di creare delle reti di esperte - dei database - da poter consultare in modo che le donne vengano interpellate sempre di più. Queste vere e proprie "agende digitali" hanno l’obiettivo di facilitare la ricerca di donne esperte e con competenze altamente specifiche e provate, per coinvolgerle in eventi, panel o interviste, e rendere più pluralista il dibattito. Le banche dati online di esperte europee sono numerose: AccademiaNet (database per esperte donne nelle scienze), Les expertes (Francia), Agenda d'Expertes (Spagna) e 100esperte (Italia; nata nel 2016 e arrivata a raccogliere quasi 400 eccellenze femminili).
Dal 2013 ad oggi, l’indice europeo della parità di genere dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) non è migliorato; anzi, in seguito alla pandemiaè addirittura peggiorato. Il coronavirus, infatti, non ha solo esacerbato il tasso di occupazione, ma anche le differenze di salario, che già in precedenza erano preoccupanti (secondo dati ISTAT del 2019, le donne nell’Unione Europea guadagnano in media circa il 14% in meno rispetto agli uomini che svolgono lo stesso lavoro).
Come spiega Marcella Corsi, Professoressa di economia politica all’Università La Sapienza di Roma, l’uguaglianza e la parità di genere non sarebbero "solo" un traguardo per la società, ma anche un fattore di sviluppo e beneficio per tutti. Prendendo l’Unione Europea come esempio, una maggiore presenza di donne nel lavoro, nell’amministrazione e nella cultura - e il miglioramento dell’uguaglianza di genere - avrebbe diversi effetti positivi sull'occupazione. Tra questi, un tasso di occupazione dell’80% entro il 2050, con circa 10.5 milioni di posti di lavoro in più, e, conseguentemente, una riduzione della povertà.
Proprio l’UE, e in particolare il Parlamento, in questi giorni ha dato un segnale positivo in tal senso, accordando il via libera alla direttiva sulle donne nei consigli di amministrazione. Grazie ad essa, entro il giugno 2026, tutte le grandi società quotate nell'UE saranno chiamate ad adottare misure per incrementare la presenza di donne nelle posizioni più alte.
Se da una parte le basi per un cambiamento nella rappresentazione delle donne sta avvenendo, dall’altra sarebbe forse il caso di evitare certe "prese di posizione" e scelte di alcune donne in politica, nel giornalismo o in qualunque altro ruolo. Il linguaggio, come si è detto, ha una valenza fondamentale, e questo non vale solo per quello dei media e dell’informazione. In questo senso, la scelta di Giorgia Meloni di essere chiamata "il Presidente del Consiglio" può essere considerata una sconfitta, o quantomeno un campanello d'allarme su come nessun traguardo - neanche diventare la prima donna a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio italiano - basti ad infrangere il famoso tetto di cristallo che si trova sopra le nostre teste.
(Forse) l’unica bolognese che non mangia ragù e tortellini. Vegana per ragioni etiche e ambientali. Mi piace cucinare sano, camminare e nuotare in piscina. Resto ferma solo al cinema o davanti a uno Spritz. Nel sangue e nel cuore la Calabria (papà) e la Sardegna (mamma). Could you be loved di Bob Marley è il mio mantra. Qui racconto la realtà come riflesso di uno sguardo critico.