Intervista originariamente pubblicata su Salgo al Sud, in data 2 giugno 2021
Cancellando, non con poche difficoltà, l’etichetta di outsiders o freaks che avevano comunque faticato a conquistare, le persone LGBTQ+ si sono infine affermate. Non in punta di piedi, ma sbattendo i pugni sul tavolo e urlando a gran voce ai Pride e alle manifestazioni che hanno potuto organizzare. La moda, come comportamento della società, fa parte di ciò che definiamo cultura. Come arte, è anche un trampolino di lancio e un linguaggio al servizio dell’artista. In questo processo, il capo d’abbigliamento in quanto opera prende vita. Nasce dall’estro e dalla creatività di chi senza badare a regole, costrutti mentali e leggi imposte, crea. A volte per puro senso estetico, altre per trasmettere un preciso messaggio.
Tuttavia, ci sono paesi in cui le pubblicità di moda con due donne o due uomini che si baciano non vanno bene, vanno censurate. No, non è il ministro della propaganda nazista Goebbels a dirlo e non siamo negli anni ’30. E’ il 2021 e siamo in Russia. La Russia di Putin, in cui qualche tempo fa Mikhail Romanov, deputato della Duma e del Partito Russia Unita, ha detto di voler far causa a D&G. L’oggetto è uno degli spot della campagna Love is love, in cui due ragazze, sulle note di Per un’ora d’amore dei Matia Bazar, si baciano.
Obiettivo del deputato è vietare il video in Russia. Secondo la Procura di Mosca infatti, contiene informazioni "che negano i valori della famiglia e promuovono relazioni sessuali non tradizionali". In Russia non sono un reato le relazioni omosessuali, ma con una legge del 2013 lo è fare propaganda sulle relazioni sessuali non tradizionali. Un confine labile e di difficile demarcazione. Ma l’intento della campagna globale di Domenico Dolce e Stefano Gabbana, in collaborazione con The Trevor Project, è un altro: sensibilizzare riguardo ai suicidi tra giovani LGBTQ+. La Russia, come testimonia questo fatto – e se ne potrebbero elencare altri – è un paese che anziché progredire all’insegna di libertà e inclusione, sostiene il machismo e il patriarcato come unici valori cari al Cremlino. Un’idea di Paese in cui non trovano spazio la libertà di espressione e i diritti LGBTQ+.
Il 12 marzo 2020, il Parlamento europeo ha preso una posizione, più simbolica che pratica, ma comunque di grande importanza riguardo ai diritti LGBTQ+. Ha affermato che «tutta l’UE è zona di libertà LGBTIQ». Una dichiarazione rivolta in particolare a Ungheria e Polonia. Infatti, in questi paesi, a causa dell’ideologia di destra e conservatrice, ogni giorno persone LGBTQ+ non sono libere di esprimere il proprio orientamento sessuale. Nell’Ungheria di Orbán, ad esempio, è tutt’ora negata un’adeguata assistenza e sicurezza durante manifestazioni e Pride ed è stato sospeso il riconoscimento per le persone transgender. In Polonia invece molti comuni e molte province “si limitano” a dichiararsi LGBTQ+ free-zone, intraprendendo una vera e propria crociata omofoba.
In Italia, purtroppo, la strada è ancora tutta da percorrere e per di più in salita. E l’onorevole Alessandro Zan, padre dell’omonimo disegno di legge, ne sa qualcosa. In un lungo post dello scorso maggio, Massimo Prearo, co-fondatore della rivista francofona Genre, sexualité et société, aveva esposto i dati del Report dell’European LGBTI Survey 2020 condotta dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali. I dati dell’Italia non sono particolarmente confortanti: il 62% delle persone non si dichiara apertamente mai o quasi mai (più di 1 persona LGBTQ+ su 2 non fa mai o quasi mai coming out). Lo stesso 62% evita di tenere per mano il proprio o la propria partner in pubblico per paura di essere molestati o aggrediti. Infatti, lo spazio pubblico per molte persone LGBTQ+ non è uno spazio sicuro, ma uno spazio dove regna la paura di subire violenze fisiche e verbali. Inoltre, il 92% delle persone LGBTQ+ pensa che il proprio paese non conduce per nulla o quasi “una lotta efficace ed effettiva contro l’intolleranza e il pregiudizio”. 9 persone LGBTQ+ su 10, non si sentono protette dallo Stato e dalle istituzioni, non si sentono considerate o addirittura si sentono escluse e dimenticate. 9 persone LGBTQ+ su 10 in Italia non si sentono pienamente cittadine e cittadini. Un grosso problema per la democrazia.
Davide ed Elia sono due studenti del terzo anno di Fashion Design dell’ABABO, Accademia di Belle Arti di Bologna. Davide ha 21 anni, è nato a Gela in provincia di Caltanissetta, è solare e oltre alla moda le sue passioni sono l’arte, i libri e il cinema. Il trasferimento nella città di Bologna e l’inizio in Accademia lo hanno reso consapevole di essere omosessuale. Elia invece ha 22 anni, è nato a Comacchio in provincia di Ferrara, ama creare in diversi ambiti (musica, disegno e scrittura). Da due anni, dopo aver realizzato di essere un ragazzo transgender, ha intrapreso la transizione medica da femmina a maschio.
Partiamo dai dati italiani del Report dell’European LGBTI survey, cosa ne pensate? Davide: «I dati riportati, come già detto, sono molto sconfortanti ed è una realtà vera e difficile da digerire, per noi, che non ci sentiamo in grado di dire semplicemente “Ehi, io sono così, ma non cambia nulla rispetto a prima”. Vengo da una città non così grande e anche io ho avuto il timore di “uscire allo scoperto” perché si ha paura delle persone e dei loro giudizi e pensieri. Alle medie venivo etichettato come “frocio” o “finocchio” e a volte è successo anche per strada, durante passeggiate tranquille con amici.» Elia: «É triste leggere dati del genere. È tremendo pensare che qualcuno non si possa sentire libero di fare cose semplici come tenersi per mano con il proprio partner o scambiarsi un bacio. Mi sento fortunato, perché nel mio percorso, quando dovevo dichiarare di essere trans, non ho mai subito discriminazioni, anzi la gente è sempre risultata abbastanza comprensiva.»
E riguardo al caso della Russia contro lo spot D&G? Davide: «Love is Love e ciò non può essere recluso all’ideale di famiglia “normale” perché non c’è una normalità in questo. L’amore è amore, qualunque esso sia, indipendentemente da chi viene e a chi viene espresso. Io provo amore, non soltanto verso qualcuno del mio stesso sesso, ma anche verso la mia famiglia, gli amici o le mie passioni. Io persona provo amore verso altro, non verso qualcosa che qualcun altro ha deciso essere normale, imponendo la sua scelta.» Elia: «Questa storia dei “valori famigliari” mi fa ribollire. Un bambino ha bisogno di affetto e comprensione, non è di certo essere un uomo o una donna ciò che fa di te un buon genitore, ma essere una buona persona con valori saldi. Se cresci tuo figlio con amore e rispetto, che tua sia omosessuale, transessuale o eterosessuale hai già fatto gran parte del lavoro.»
Potrebbe sembrare una domanda banale, ma per voi che volete sia il vostro futuro, che cosa significa la moda? Davide: «Espressione d’abitare. Credo che sia il concetto che più lego a quello che rappresenta il mio futuro. Libertà d’espressione attraverso quello che puoi indossare, attualmente è l’oggetto di studio e ricerca della mia tesi.» Elia: «La moda per me è uno dei tanti modi per sperimentare con le mie capacità e la mia creatività. È un qualcosa che mi stimola e diverte. Non credo che in futuro continuerò nel mondo della moda, ma mi ha decisamente insegnato abilità che prima non possedevo.»
Vi sentite pienamente liberi di esprimervi all’interno dell’ABABO? Davide: «Direi che in linea generale ci si può esprimere tranquillamente e creare confronti e dibattiti sul proprio pensiero, sia nel dialogo che attraverso la progettazione. Molto spesso però, capita che venga velatamente veicolato il tuo progetto verso qualcosa che aggrada soggettivamente il docente…» Elia: «Abbastanza. Sono un po’ insicuro di natura, quindi faccio un po’ di fatica ad essere incondizionatamente libero. Nel tempo, però, proprio grazie all’Accademia, ho imparato ad esprimermi in modo genuino.»
Davide, avete mai realizzato qualche progetto a tema inclusione o LGBTQ+ all’Accademia? «Il primo anno siamo stati invitati a partecipare all’evento promozionale del profumo “BSX”, di Simone Bongiorno, fondatore del marchio Optico. L’acronimo stava per “Boost Smell Xperience”. Con l’Accademia abbiamo seguito un iter progettuale che potesse confluire nella realizzazione di abiti che rimandassero al profumo, visivamente, e che giocassero sul genderless del capo, considerando il nome della fragranza che rimandava al termine Bisexual. Io ho realizzato una giacca corta in ecopelle con inserti in vinile a forma di onde (ricavate dal packaging del profumo) un collo alla coreana alto in tulle sovrapposto ad un catarifrangente e una spalla ricoperta di paillettes lunghe. Per lo shooting lo feci indossare a due miei colleghi per mostrare come stesse bene sia su una lei che su un lui.»
La foto del progetto BSX di Davide
Elia, essendo un ragazzo transgender, stai intraprendendo la carriera Alias. Ci puoi spiegare cos’è e in cosa consiste? «Certo. In pratica è un profilo burocratico alternativo e temporaneo, che sostituisce il nome anagrafico, fino alla rettifica dei documenti. Vale solo all’interno della tua università o Accademia e rende più facile la frequentazione delle lezioni, non essendoci più l’ostacolo del nome che non ti rispecchia.»
Stai avendo qualche difficoltà? «All’inizio sì, perché la carriera Alias non è una prassi attualmente attiva in Accademia. La consulta studenti, però, si sta muovendo, insieme alla direzione, per rendere la carriera Alias possibile anche per gli studenti Ababo.»
Si parla tanto di Bologna come una città inclusiva e in cui ci si può liberamente esprimere per ciò che si è. Siete d’accordo? Davide: «Assolutamente sì. Bologna è davvero magica. È la mia prima città da “fuorisede” e mi sono subito sentito a casa, fin dal primo momento. Gli eventi LGBTQ+ mi hanno immerso nella tranquillità e libertà di espressione, in cui potevo essere davvero me stesso, oltre che in accademia, senza troppi timori.» Elia: «Direi di sì. Mi è capitato proprio l’altro giorno di vedere sotto i portici una coppia di ragazzi omosessuali comportarsi affettuosamente e nessuno ha battuto ciglio. Bologna, inoltre, è piena di associazioni e realtà per le persone LGBTQ+, come il Cassero, il Gruppo Trans e il MIT (movimento identità transessuale).»
C’è ancora tanta strada da fare per i diritti LGBTQ+, voi da dove iniziereste? Davide: «Sensibilizzare che la normalità sta nella tua libertà. Non bisogna nascondersi, fare finte famiglie per paura di amare qualcuno che non rientri nella normalità, ma accettarsi e amarsi per come si è. Non dico che bisogna fare i manifesti o che sia obbligatorio un esplicito coming out, ma capire, semplicemente, quello che si è ed esserlo perché va bene così, non è sbagliato!» Elia: «Nel mio caso, mi piace ribadire che la transessualità è di natura medica. Ciò che crea la necessità di transizionare è la disforia di genere (una volta conosciuta come disturbo dell’identità di genere), classificata come una condizione medica. La gente non è informata a riguardo, crede che basti dichiararsi del sesso opposto per poter transizionare medicalmente e legalmente, ma in realtà non è un percorso così immediato. Essendo nel DSM 5, la disforia di genere deve essere diagnosticata da un professionista, con almeno 6 mesi di terapia psicologica. Dopo ci si reca dall’endocrinologo che prescrive una serie di esami, per assicurarsi che il paziente possa intraprendere la terapia ormonale in sicurezza. Questi esami possono richiedere anche diversi mesi. Dopodiché, l’endocrinologo ti può prescrivere gli ormoni, ma non finisce qui. Per poter cambiare i documenti l’individuo deve fare almeno un anno di terapia ormonale, per poi andare in tribunale e fare la richiesta per poter rettificare i documenti e poter intraprendere le diverse operazioni chirurgiche di cui una persona trans ha bisogno (mastectomia, falloplastica, vaginoplastica, ecc.). Quindi non è affatto un percorso immediato. Alcuni esponenti politici cercano di allarmare la gente a riguardo, dicendo che i bambini e le donne sono in pericolo, come se uno possa cambiare genere da un giorno all’altro e, molto convenientemente, omettono e ignorano tutto quello che realmente c’è dietro. Di solito spiegare la “scienza” dietro alla transessualità mi ha aiutato a farmi accettare e capire da diverse persone, quindi inizierei proprio da lì».
(Forse) l’unica bolognese che non mangia ragù e tortellini. Vegana per ragioni etiche e ambientali. Mi piace cucinare sano, camminare e nuotare in piscina. Resto ferma solo al cinema o davanti a uno Spritz. Nel sangue e nel cuore la Calabria (papà) e la Sardegna (mamma). Could you be loved di Bob Marley è il mio mantra. Qui racconto la realtà come riflesso di uno sguardo critico.