“Ma che diavolo ci sta capitando a tutti? Mio Dio non riusciamo neanche a comunicare tra di noi, cosa abbiamo fatto a noi stessi? Come si risolve?”
Un primissimo piano del personaggio interpretato da DiCaprio che sbotta durante una diretta tv e pronuncia questa frase. È al limite tra lo sconforto e l’ira incontrollabile, tra la disperazione e l’incredulità. La frase riassume perfettamente l’oggi. Infatti, che sia l’era della post-verità ormai dovrebbe essere chiaro – ne parlano libri e lo affermano intellettuali e sociologi. Eppure non è poi così facile capirlo ed esserne consapevoli. Si ispira proprio a questo dilemma imperante, figlio della contemporaneità, il film Don’t Look Up, scritto e diretto da Adam McKay. Non è dovuto andare troppo lontano o spingersi ai confini dell’assurdo: gli è bastato scrivere della realtà per far riflettere lo spettatore su chi che è, su come agisce e si muove nella società, qualunque sia il suo ruolo in essa.
Senza timidezza e reticenza McKay centra spudoratamente il suo obiettivo. Tratteggia e calca sempre di più le problematiche della società. Lo fa utilizzando ciò che conosce meglio di ogni altra cosa: l’America e gli americani – che, se visti in un ottica più ampia, rappresentano l’individuo medio. Accantona i moralismi e sbatte in faccia la realtà per quello che è con tutte le sue contraddizioni. Il risultato è un film che, senza prendersi troppo sul serio, finisce per diventare un compendio di attualità, una fotografia nitida e sarcastica di ciò che accade sotto i nostri occhi.
La dottoranda e ricercatrice in astronomia Kate Dibiasky scopre, con l’aiuto del suo docente – l’astronomo Dott. Randall Mindy -, una cometa grande tra i 9 e i 14 km di diametro che tra sei mesi si schianterà sulla Terra. Una catastrofe preannunciata, un evento apocalittico dalla potenza di “miliardi di bombe di Hiroshima”, dicono. Metteranno al corrente del pericolo l’opinione pubblica tout court, dai potenti ai mass media – fino alle persone comuni -, ma a parte alcune eccezioni non sembra che interessi più di tanto a nessuno. Gli scienziati cercheranno di imporsi con tutte le loro forze per fare chiarezza e affermare i fatti nella difficile giungla dell’overload informativo che caratterizza la società.
Il sottotesto del film, che traccia una linea continua per tutta la sua durata, è in primis il problema del rapporto tra informazione/comunicazione e potere. Ma anche il cambiamento climatico – la questione ambientale messa da parte perché non coincide con le ideologie politiche. E ancora: la verità celata per dare spazio a questioni ritenute più importanti.
Molti parallelismi possono essere facilmente fatti con la pandemia. Da un lato ci sono i “sopraguardisti” (suprematisti?), che non vogliono guardare in alto e credere che la cometa esista; sono convinti che sia qualcosa di positivo, come gli fa credere il partito. Dall’altro lato, invece, ci sono quelli che gridano: «Look up!» (vaccinatevi?), che credono alla comunità scientifica e all’evidenza delle prove.
Il surreale momento in cui la presidente degli USA Orlean, nonostante le prove, suggerisce di “attendere e accertarsi”.
Nel caos totale, l’unica cosa certa è che quasi tutti hanno perso il controllo. In un momento così critico non riescono a unire le forze e a concorrere uniti verso un obiettivo comune. Anzi, la situazione di instabilità peggiora le cose, facendo uscire il peggio di ognuno. Proprio come è accaduto nella realtà: l’assalto a Capitol Hill potrebbe essere benissimo una scena di questo film.
Si sperava di uscirne migliori, ma purtroppo così non è stato. L’incertezza, la paura, il dubbio, i sentimenti più primitivi, per quanto legittimi, nella maggior parte dei casi hanno avuto la meglio sulla ragione.
Da quando molti si professano tuttologi – e da più di due anni a questa parte gli scienziati, i virologi e i medici vengono snobbati e delegittimati -, si affronta spesso il problema della degerarchizzazione dei ruoli, della poca, se non nulla, importanza delle competenze. Gli scienziati del film fanno una scoperta infelice e funesta che li destabilizza e travolge, che non sanno come comunicare alle persone, ma questo è niente: dovranno poi combattere contro un sistema che non capisce – o forse non vuole capire – la gravità del pericolo incombente. Addirittura, le persone negheranno l’esistenza stessa della cometa, nonostante ci siano prove scientifiche, dati e fotografie catturate grazie al telescopio.
I personaggi ben caratterizzati formano un quadretto dell’assurdo quasi perfetto. L’astronomo Randall Mindy, interpretato da Leonardo DiCaprio – conosciuto per il suo impegno ambientale -, ricopre bene il ruolo dell’uomo impacciato, affascinante e nervoso. Con fatica riesce a farsi spazio nel mondo dei media – un mondo che non gli appartiene affatto – e dopo uno scivolone amoroso iniziale porta avanti la causa senza abbandonare il suo fine ultimo.
Nei panni della dottoranda in astronomia Kate Dibiasky c’è Jennifer Lawrence. La povera ragazza, complice una sfuriata in diretta tv, è additata come pazza e irrazionale. Viene inghiottita dalla gogna mediatica, masticata, fatta a pezzetti e infine sputata. Dopo la sua apparizione in tv, infatti, impazzano sui social meme atroci su di lei.
Al loro fianco c’è il dott. Oglethorpe – Rob Morgan -, capo dell’Ente di difesa planetaria della NASA. Personaggio ponderato e allo stesso tempo esilarante. È suo il consiglio di far trapelare la notizia della cometa dopo l’incontro top secret nello studio ovale. Spesso si lascia scappare battute di black humor su se stesso.
Frame di quando, invitata insieme al dr. Mindy nel talk show The Daily Rip, la dottoranda Kate Dibiasky, stufa di mentire alla gente, decide di dire come stanno realmente le cose.
Ci sono i giornalisti: chi scrive (Phil/Himesh Pate, che è disposto a troncare una relazione se può dargli visibilità); chi conduce il talk show di infotainment The Daily Rip (Brie/Cate Blanchett e Peter/Tyler Perry); chi è testata giornalistica di rilievo (il New York Herald, che fa il verso al NYT, poco interessato alla notizia perché non fa visualizzazioni). E poi ci sono i politici attendisti e irriverenti, che pur di vincere campagne elettorali e distogliere l’attenzione dal sex gate sono pronti a tutto (la Presidente Janie Orlean/Meryl Streep è un po’ la versione donna di Trump e il figlio Jason/Jonah Hill l’accompagna). Al loro seguito, poi, è immancabile l’elettorato complottista e negazionista che pensa sia tutta una messa in scena.
Non manca il potente del tech, il genio imprenditore e fondatore di Bash (Peter Isherwell/Mark Rylance), il cui ruolo strizza l’occhio a personaggi come Mark Zuckerberg ed Elon Musk. Ci sono gli influencer (Riley Bina/Ariana Grande e DJ Chello/Kid Kudi), e alla gente sembra interessare più la fine della loro relazione che quella del mondo. Infine, i millenials skater, apparentemente “strafottenti” e ottusi ma in fondo solo incompresi (Yule/Timothée Chalamet).
La pellicola è catastrofica e divertente allo stesso tempo. Racconta una realtà che sembra irreale ma che in fondo non lo è. Quando si susseguono vorticosamente gli sketch, le battute e le peripezie dei protagonisti, le affinità con l’oggi sono innumerevoli. Per questo non si sa se conviene ridere o piangere, se è meglio angosciarsi o godersi una visione che, per quanto satirica, non dispiace affatto. Il film, infatti, nonostante le due ore e venti, scorre bene. Non solo nella sua trama – chiara e lineare -, ma anche grazie al montaggio. I tagli, dai ritmi sincopati e bruschi, sono perfettamente riusciti e intelligenti.
Don’t look up non lascia spazio alla noia. Ogni frame e ogni singola scena, se venissero presi e visti singolarmente, avrebbero senso comunque. Come l’iconico momento in cui il dottor Mindy, mosso da un irrefrenabile “attivismo sociale” e “senso del dovere”, percepisce il bisogno di usare la propria voce per far arrivare la verità. Su Internet risponde in questo modo geniale a uno dei tanti commenti complottisti: “Ti informo che si chiama metodo scientifico, ed è quello che ha creato anche il computer su cui stai scrivendo le tue stupide ipotesi complottistiche”.
Don’t look up ci dice tutto quello che non vorremmo mai sentirci dire, ci urla addosso, ci scuote e ci fa sentire parte di un fallimento collettivo. Non è misurato nel farlo, ma se ne assume le responsabilità. Anche se in un primo tempo predilige i modi pacati (quelli del dottor Mindy), subito dopo mostra come stanno le cose, incalza veloce perché il tempo stringe e non si sta facendo niente. L’intervento della dottoranda Dibiasky sembra citare l’attivista Greta Thunberg, racchiudendo in una scena tutte quelle persone che decidono di accantonare la pazienza e le parole perché ormai stanche. "How dare you” e “There is no planet bla bla bla” calzano a pennello.
Don’t look up rivela quello che siamo diventati e ci fa scontrare con la realtà. In fondo, non serve guardare in alto per capire dove sta il problema: basta guardare davanti.
(Forse) l’unica bolognese che non mangia ragù e tortellini. Vegana per ragioni etiche e ambientali. Mi piace cucinare sano, camminare e nuotare in piscina. Resto ferma solo al cinema o davanti a uno Spritz. Nel sangue e nel cuore la Calabria (papà) e la Sardegna (mamma). Could you be loved di Bob Marley è il mio mantra. Qui racconto la realtà come riflesso di uno sguardo critico.