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Guerra in Ucraina: dentro il battaglione Azov
07 aprile 2022

Guerra in Ucraina: dentro il battaglione Azov

Tra le numerose questioni dibattute in queste settimane, molte ruotano attorno all’esercito paramilitare ucraino che prende il nome di battaglione Azov. Cerchiamo di approfondire il suo ruolo all’interno del conflitto.

Siamo ben oltre il mese di guerra. La resistenza contro l’esercito russo continua senza sosta, e continua anche l’aumento dei morti e dei feriti civili. Dall’inizio del conflitto, secondo il bilancio aggiornato dall’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani, i morti sono più di 1200 e i feriti quasi 2000. Ma, aldilà di questi drammatici numeri, delle armi e degli eserciti, della diplomazia e delle sanzioni, delle trattative e dei negoziati, questo conflitto non è ancora arrivato ad un punto di svolta. O meglio, quando sembra che le parti possano trovare anche solo un briciolo di accordo, durante la notte le bombe, i missili e gli spari continuano incessantemente.

Che cos’è il battaglione Azov?

Bisogna tornare indietro di otto anni. Il battaglione Azov viene fondato nel maggio del 2014 da Andriy Biletsky, un militante neonazista. Un anno decisamente drammatico per l’Ucraina, che in febbraio vede l’occupazione della Crimea da parte delle truppe russe.

Questo esercito paramilitare non è altro che la fusione di due gruppi paramilitari di estrema destra ucraina. Le stime in merito al numero di soldati accorpati o legati al battaglione Azov non sono note, ma si stima che l’esercito sia formato da un’unità di circa 2.000 soldati - che arriva a diecimila se si prendono in considerazione altre organizzazioni militari affiliate. Le controversie e le discussioni si concentrano principalmente sulle posizioni politiche: sono accusati di essere un gruppo paramilitare di estrema destra e nazista. Alcuni indizi ci arrivano proprio dal loro simbolo, un’icona legata al nazismo e alle SS. 

Il simbolo e le assonanze con il Terzo Reich

L’emblema del battaglione Azov è composto da due elementi che fanno parte della cultura nazista: il sole nero è presente nel castello di Wewelsburg, in passato proprietà di Heinrich Himmler, uno dei generali più noti nella Germania nazista. Lo scopo di Himmler era quello di far diventare il castello una scuola per educare l’élite dei corpi speciali nazisti, e in qualche modo “coltivarla” a livello ideologico, culturale e storico.

Nel castello lavoravano membri di tutte le gerarchie delle SS. Le “SS generali” (“Allgemeine SS”), la polizia e le “SS armate” (le celebri “Waffen SS”). Inoltre, erano presenti anche fautori di una specie di esoterismo costituito da un mix fra il misticismo germanico, il culto degli antenati, il culto delle rune e le dottrine razziali.

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Da sinistra verso destra: lo stemma del battaglione Azov, il sole nero nazista e lo stemma di una delle divisioni delle SS naziste.

Oltre al sole nero, l'altro emblema del battaglione Azov ricorda il simobolo della seconda divisione delle SS. Questa divisione - seconda su trentotto divisioni Panzer SS delle Waffen-SS - era nata nel 1933 come braccio armato delle stesse SS. Partecipò a molte battaglie della Seconda Guerra Mondiale, macchiandosi di numerosi crimini di guerra. Come quello del 1941, quando, insieme ai reparti speciali delle Einsatzgruppen, sterminò 920 ebrei vicino al Minsk.

Se tutto questo non basta a mettere dubbi sull’orientamento politico del battaglione Azov, è interessante notare come regolarmente venga celebrata la figura di Stepan Bandera, assassinato dal Kgb nel 1959 e proclamato eroe nazionale nel 2010. Bandera è stato un ultranazionalista ucraino, nonché collaboratore del regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.

Putin e la “de-nazificazione”

In mezzo a tutto questo, si inserisce il concetto putiniano di de-nazificazione. In Italia, il 24 febbraio scorso, erano le 3:55 del mattino quando, nel primo discorso di guerra, Vladimir Putin annunciava l’operazione militare per protegger il Donbass e smilitarizzare e de-nazificare l’Ucraina.

Una delle giustificazioni della propaganda russa all’invasione dell'Ucraina, infatti, è rappresentata proprio dal fatto che le truppe russe stanno combattendo contro forze armate ucraine di estrema destra. La campagna mediatica russa insiste sopratutto nelle zone del conflitto più drammatiche, rappresentate in primo luogo da Mariupol, nel Donbass.

Il ruolo di Arsen Avakov e di Petro Poroshenko

La nascita e il mantenimento del battaglione Azov all’interno delle forze militari ucraine la si deve ad una figura in particolare: Arsen Avakov, industriale ucraino e tre volte ministro dell’Interno tra il 2014 e il 2021. Fu lui, nel 2014, a sponsorizzare la nascita di battaglioni volontari per sopperire alle difficoltà delle allora deboli forze armate ucraine. In questo modo, Avakov è riuscito a collocare il battaglione Azov all’interno dell’esercito ucraino come forza regolare.

Un’altra figura che ha permesso di dare slancio al gruppo paramiliare è l’oligarca Petro Poroshenko, il predecessore di Zelensky, che celebrava e idolatrava il battaglione definendolo “la migliore unità dell’esercito ucraino”. L’esaltazione si è lentamente spenta nel corso degli anni per motivi di orientamento politico neonazista; e, soprattutto, per l’accusa di numerosi crimini di guerra avvenuti durante il conflitto in Ucraina orientale: bombardamenti su aree abitate, detenzioni illegali, torture e uccisioni.

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Quello che rimane di una delle tante palazzine di Mariupol, uno dei centri nevralgici del conflitto e quartier generale del Battaglione Azov

Un corpo militare fantasma nel conflitto tra Russia e Ucraina

Volodymyr Zelensky non ha fatto altro che ignorare le azioni del battaglione. Il presidente - che, ricordiamo, è di origine ebraica - non ha mai celebrato il battaglione, e finora non c’è alcuna traccia delle imprese compiute dal battaglione Azov nella propaganda ufficiale ucraina. Nonostante questo, il corpo paramilitare è localizzato a Mariupol, nel Donbass, dove ha stabilito il suo quartier generale. La città è uno dei centri nevralgici del conflitto, ormai di sole macerie, rovine e morte. Un luogo dove la stessa brigata sta cercando di resistere agli assalti dell’esercito russo.

A Mariupol, ogni linea di collegamento con il mondo è saltata. Cibo, corrente, strade e palazzi sono in frantumi. Si descrivono scene da Medioevo. Ogni passo sulle scale dei palazzi rappresenta una trincea dove le due forze militari si scontrano. Il cinismo e la spietatezza del conflitto si muovono proprio qui.

Servono cinque militari russi per uccidere un solo soldato ucraino trincerato. Il battaglione studia, si muove e combatte così. A Mariupol, le tecnologie militari lasciano il posto a una guerra fatta semplicemente di scontri corpo a corpo, coi fucili. Una guerra “come nel passato”. Lo dimostra anche il fatto che Putin abbia deciso di affidarsi ai Ceceni, miliziani tribali spietati e dal sangue freddo che non si fermano di fronte a nulla. Nemmeno se di mezzo ci sono dei civili innocenti.

Andrea Cicalò

Andrea Cicalò

Il cognome può disorientare ma sono nato e cresciuto in Sardegna. Studiare giornalismo ed editoria mi ha portato a Parma per due anni. Leggo, scrivo, esploro. Attualità, società e sport sono la mia calamita principale. Amo avventurarmi in mezzo alla natura e alle montagne nonostante le mie vertigini. Tuttavia, non rinnego la filosofia “Divano e serie tv”.

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