• La redazione
Non voglio essere genitore: i motivi che spingono a non avere figli
30 marzo 2022

Non voglio essere genitore: i motivi che spingono a non avere figli

Morale, ambiente, economia, società e biologia. Sono queste le aree tematiche che emergono nel dibattito sui motivi per non mettere al mondo un essere umano. 

Potrebbe essere un danno per il sovrappopolamento? Alcuni ricercatori anglo-americani hanno rilevato una gigantesca massa ghiacciata in Antartide in progressivo scioglimento, la conseguenza è un innalzamento delle acque che porterà esodi e inondamenti. È giusto esporre una creatura a questo rischio? Ho 30 anni, pago l’affitto con un contratto a tempo determinato, come mantengo un bambino? Potrebbero essere probabili questioni.

Incertezza, sensibilità e precarietà elementi chiave di una scelta a volte condizionata e racchiusa in costrizioni sociali claustrofobiche. C’è una spiegazione che prescinde però, dalle scelte personali degli individui, radicata nel substrato sociale ed economico, che spiega quantomeno l’origine di questo fenomeno.

Più reddito, meno figli

William Easterly, economista americano specializzato in sviluppo economico, in un capitolo del libro Lo sviluppo inafferrabile, scrive che le origini della diminuzione della natalità sono legate al reddito. Quest’ultimo influenza il numero medio di figli per donna, ovvero il tasso di fecondità, in un rapporto inversamente proporzionale. 

Secondo Easterly c'è una regolarità statistica che dimostra l’esistenza di una relazione tra la crescita del reddito pro capite e la crescita demografica. Vale a dire che i genitori dei paesi ricchi mettono al mondo meno bambini rispetto ai genitori dei paesi poveri. Per spiegare meglio la discrepanza, si guarda ai numeri: la media nei paesi più poveri è di 6,5 figli per donna, mentre nei più ricchi è di 1,7. Si può dire che i genitori nei paesi più ricchi puntino sulla qualità della vita dei propri figli che sulla quantità. Si pensi infatti, a quanto investono per i propri figli in termini di istruzione, salute e connessi.

Ciò accade perché le persone rispondono agli incentivi che la società offre. Gli individui si concentrano sempre di più sul proprio lavoro, che spesso occupa molto del tempo a disposizione. Inoltre, il tempo assume un valore direttamente proporzionale allo stipendio. In altre parole, il tempo non dedicato ad un lavoro ben pagato è reddito perso. Di conseguenza, individui che ottengono vantaggi minori dal proprio impiego dedicano maggior tempo alla cura dei figli. Per concludere la sua analisi, Easterly afferma che lo sviluppo economico è un contraccettivo molto più potente dei profilattici.

Fare meno figli, una soluzione sostenibile

Da uno studio del 2017 che identifica i modi più efficaci attraverso cui gli individui possono ridurre le proprie emissioni di carbonio, emerge che avere un figlio in meno sarebbe l’azione con maggiore impatto nella lotta al cambiamento climatico.

Le persone preoccupate per la crisi climatica decidono di non avere figli per il timore che questi debbano affrontare un’apocalisse climatica. Si tiene sempre più conto del cambiamento climatico nei piani riproduttivi, poiché gli impatti del riscaldamento globale sono diventati più evidenti. Secondo i dati registrati da Worldometer, un sito web che fornisce dati statistici in tempo reale per diversi argomenti, a gennaio 2022 la popolazione mondiale è arrivata a 8 miliardi di persone. La sovrappopolazione viene vista come la principale causa dei problemi ambientali. Tuttavia, l’eccesso di popolazione è solo uno dei fattori di impatto sul nostro pianeta, il peso principale è rappresentato dallo stile di vita delle società, in particolare dei paesi più ricchi.

La crescita demografica è stata rapida e ingente: si è passati da 1 miliardo di abitanti all’inizio dell’800 fino ai 7,9 miliardi attuali, in poco più di due secoli. Una quantità simile non può non aver avuto delle implicazioni notevoli sullo sfruttamento delle risorse. L’equazione è semplice, quasi banale: più persone significa più consumo di risorse e quindi, più prodotti di scarto.

È da questo presupposto che ha preso piede sempre più la convinzione che diminuendo il numero di persone sul pianeta potremmo migliorare la qualità delle nostre vite e di chi vive nei paesi meno sviluppati. Questi ultimi, infatti, sono coloro che più pagano le conseguenze delle nostre azioni. Forse la soluzione potrebbe stare nell’equilibrio tra due scelte? C'è chi lo crede fermamente, come dimostrano i movimenti che hanno spopolato in questi anni. Il BirthStrike, ovvero lo sciopero delle nascite, comprende coloro che si rifiutano di mettere al mondo bambini a causa dell’incerto futuro che gli studi sul clima prospettano.

Progetto senza titolo.png

Un’altra risposta alla paura del futuro è stata la vasectomia climatica. Ancora una scelta di nicchia, spesso condizionata da altri fattori, che solleva questioni etiche e politiche. La vasectomia affronta lo squilibrio di genere che ancora accompagna la scelta e la pratica del controllo delle nascite. Sono meno rischiose dei metodi di contraccezione femminile, più invasivi e meno affidabili, come la sterilizzazione e la spirale. Eppure, possono essere difficili da trovare, soprattutto per gli uomini più giovani e senza figli. Spesso anche poco accessibili poiché, essendo una soluzione permanente, si tende a dare un peso maggiore alla decisione. Nonostante ciò, molti giovani si stanno affacciando a questa realtà sia per motivi sociali sia ambientali.

L’antinatalismo è la filosofia morale controversa che abbraccia la convinzione che non fare figli sia una risposta al riscaldamento globale. Molti studi però, hanno puntato a dimostrare che l’assunto su cui si basa tale filosofia, ovvero il presupposto che i nuovi nati saranno potenzialmente dei consumatori del nostro stesso calibro in futuro, è sbagliato.

Non avere figli potrebbe non essere la soluzione

Secondo il rapporto di Founders Pledge del 2020, un’organizzazione che guida gli imprenditori impegnati a donare ad enti di beneficenza efficaci, il problema degli studi dell’impatto sul clima è che non tengono conto dei probabili cambiamenti nella politica del governo in futuro. Questi studi infatti, si basano sul presupposto che la politica climatica diventerà quasi sicuramente molto più severa. È una constatazione che però non ha alcun fondamento, si sviluppa su un calcolo delle probabilità. Potrebbe succedere, come no. Quanto di quello che accadrà in futuro dipende da noi e non possiamo quindi prevederlo.

Secondo le fonti sopracitate, non avere figli non rappresenta una soluzione. Se ne sottolineano i benefici e se ne parla come se chiunque potesse decidere di non farne mai più. La scelta di diminuire le nascite riguarda alcune delle persone che decidono, per diverse ragioni, di non avere figli o di rinunciarvi, al contrario di quanto desiderano. Si tratta di un compromesso, non di una drastica e definitiva decisione. È inoltre impensabile che tutti possano essere d’accordo con tale scelta (si pensi ai valori religiosi o al nostro egoismo biologico, che ci suggerisce di procreare come bisogno naturale).

people-945258_1280.jpg

Quando si parla di "diminuzione" si intende il termine nel suo significato, ovvero rendere minore e ridurre, non eliminare del tutto. Il dibattito antinatalista inoltre, non può ambire a diminuire la popolazione mondiale in modo drastico e preoccupante, in quanto coinvolge le persone “sbagliate”: è diffuso nei paesi occidentali, già in diminuzione, mentre si stima che i primi tre paesi al mondo per popolazione già nel 2050 saranno India, Cina e Nigeria.

Non si deve pensare ad un automatismo: più figli, più consumi. Bensì ad una serie di elementi che si incastrano e che porterebbero ad un miglioramento della vita su questo pianeta.

I cambiamenti delle strutture sociali

C’è poi un'ultima questione. Le nuove generazioni hanno una maggiore consapevolezza dell’emergenza climatica, ma si pongono anche molte domande sulle strutture familiari tradizionali. Sono cambiate le ideologie, i valori, l’amore è un concetto sempre più fluido con tutto ciò che comporta. 

L’amore liquido, teorizzato dal sociologo Zygmunt Bauman, rappresenta la fragilità delle relazioni e dei legami affettivi nella società contemporanea. Le relazioni sono sempre più labili e superficiali. L’amore è diviso tra il desiderio di vivere emozioni forti e temporanee da un lato e la paura di legarsi affettivamente in modo permanente dall’altro. 

Il desiderio di autorealizzarsi è sempre maggiore, soprattutto per i Millennials: molte donne mettono l'obiettivo di una carriera davanti alla possibilità di procreare. Fare carriera, inoltre, è un processo lungo e la stabilità arriva spessi tardi, biologicamente parlando, per avere figli in serenità. 

Molti giovani adotterebbero bambini per garantire a chi ha meno possibilità una vita dignitosa, se solo le pratiche fossero più accessibili, concretizzando anche la possibilità di creare famiglie omogenitoriali. Una pandemia non risolta, una nuova guerra appena iniziata, l’emigrazione dimenticata e il cambiamento climatico. Il mondo è in una profonda fase di transizione e mutamento, la scelta di un figlio potrebbe rappresentare la voglia di rinascere in una nuova vita, oppure l’inizio di un nuovo tormento sociale, economico e ambientale.

4.png

1.png

Redazione

Redazione

Della stessa categoria