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Organizzare un Mondiale – By Qatar
05 dicembre 2022

Organizzare un Mondiale – By Qatar

Gli ottavi di finale sono agli sgoccioli. Tra le certezze di Brasile e Francia, qualche sorpresa come Giappone e Marocco e flop clamorosi di lingua tedesca, il Mondiale in Qatar procede spedito. Ma è quel che accade intorno al rettangolo verde che mantiene alta l’attenzione di un evento tradizionalmente estivo spostato nel periodo di novembre e dicembre a causa del caldo estremo.

Bisogna chiarire un aspetto: ogni mondiale, fin dal 1930, è sempre stato accompagnato da polemiche e discussioni. Le idee di boicottaggio hanno coinvolto anche il precedente Mondiale di Russia nel 2018, una nazione che all’epoca dell’assegnazione del torneo aveva stanziato il proprio esercito in Crimea e nell’area ucraina. Nel 2014 le polemiche toccarono anche il Brasile: la tradizione calcistica non si discute, con cinque mondiali in bacheca, ma le polemiche si crearono attorno alla sicurezza degli stadi, il clima umido e le possibili violenze nelle città brasiliane, con stadi da milioni di euro costruiti nelle vicinanze delle favelas. Gli stessi problemi in merito a crimini e violenza si riscontrano in Sudafrica nel 2010, oltre a quelli della polizia sui diritti della popolazione sudafricana, spesso calpestati per mantenere alto il livello di sicurezza durante il mondiale. La storia dei Mondiali, dunque - anche solo quella recente -, è sempre stata accompagnata da polemiche e problemi a livello organizzativo piuttosto seri. In Qatar, però, le parole “boicottaggio” e “scandalo” hanno raggiunto un livello decisamente più alto. Si è creata una tempesta perfetta all’interno dei dibattiti di tutto il mondo: diritti civili, organizzazione del torneo, sfruttamento della manodopera, cambiamento climatico e molto altro. 

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Lo stadio Ras Abu Aboud Stadium. La particolarità della struttura risiede non solo nella presenza dei container, ma anche nel suo utilizzo: infatti può essere interamente smontato e rimontato in un altro posto.

La piramide delle polemiche

Immaginate una piramide basata sulle polemiche di Qatar 2022: in superficie troviamo la decisione di bloccare la vendita della birra negli stadi, mentre la Fifa stringe accordi con lo sponsor Budweiser; più in basso, ci sono i container posizionati in mezzo al deserto per i tifosi delle nazionali di tutto il mondo e le arene come il Cricket Stadium di Doha, dove immigrati e lavoratori che hanno contribuito alla realizzazione degli stadi possono guardare le partite perché privi del diritto di acquisto ai biglietti delle stesse; scavando più a fondo, troviamo la questione dei diritti civili e delle polemiche scaturite da dichiarazioni, proteste, divise e fasce arcobaleno delle stesse squadre di calcio; infine, la questione più tragica e crudele di tutte: quella dei 7mila migranti morti nella costruzione degli stadi, con turni massacranti da quattordici a diciotto ore al giorno.

Ecco perché, a prescindere da come andrà, il Mondiale in Qatar - il primo invernale - sarà ricordato come una delle pagine più controverse della storia del calcio. Ribadire e mettere nero su bianco tutte le dichiarazioni di queste settimane, la protesta della Germania e, soprattutto, l’invito al boicottaggio da parte di importanti personaggi dello scacchiere sportivo e internazionale, ha poco senso. Anche perché, fino alla finale del 18 dicembre, molte altre cose succederanno. Meglio invece soffermarsi sulla struttura di questi Mondiali: come sono nati e come ha fatto questa nazione da 3 milioni di abitanti - e priva di qualsiasi tradizione calcistica - a trovarsi a dicembre 2022 al centro dei dibattiti sportivi.

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Una delle tante proteste ai mondiali: la formazione della Germania tiene la mano sulla bocca. Questo gesto è seguito alla decisione della Fifa di vietare l’utilizzo delle fasce da capitano con la scritta «One Love» e di mostrare solidarietà alla comunità Lgbt+ del Qatar, un Paese dove l’omosessualità è un reato ed è considerata alla pari di una malattia mentale, come dichiarato da Khalid Salman, ambasciatore dei Mondiali in Qatar.

Le ombre dei soldi alla candidatura del 2010

L’Emirato del Qatar è una nazione in mezzo al deserto, e la sola capitale Doha conta più di 1 milione di abitanti. Tradizione calcistica pari a zero. Segni particolari: uno stato ricco economicamente grazie all’esportazione di gas e petrolio.

Nonostante il caldo torrido (poco adatto a un torneo che si svolge d’estate), l’estensione decisamente piccola del territorio e la scarsità di diritti, nel 2010  il Qatar si candida per organizzare il Mondiale del 2022 insieme a Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Australia. Il regolamento Fifa prevedeva all’epoca che il torneo si sarebbe dovuto organizzare in America del Nord, Asia od Oceania. La votazione, suddivisa in quattro scrutini, prevedeva al termine di ognuno l’eliminazione del candidato con meno voti. Alla quarta votazione, il Qatar si impose allo scrutinio contro gli USA per quattrdici voti a otto.

Dei ventidue membri del comitato Fifa designati per decidere la nazione ospitante, tre provenivano dal Medio Oriente e uno da Cipro: questi quattro voti sarebbero stati determinanti per l’assegnazione del torneo al Qatar, a fronte di due soli membri del Nord America (Guatemala e Trinidad e Tobago). Ma già al primo scrutinio il Qatar prese undici voti contro i tredegli Stati Uniti: sette in più al primo scrutinio per un Paese che, per caratteristiche, era quello meno quotato per ospitare il mondiale. La Fifa ha cercato la novità per il 2022, o dietro c’è altro?

Il ruolo dei membri del comitato Fifa

Inizialmente, alle votazioni i membri del comitato dovevano essere ventiquattro, e non ventidue. Questo perché i due membri mancanti (a rappresentare Nigeria e Taiti) furono sospesi dalla Fifa per presunta corruzione. Altri tre membri (Brasile, Camerun e Paraguay), presenti alla votazione del 2010, già negli anni ’90 avrebbero intascato tangenti per la concessione dei diritti dei Mondiali. Una quarta figura del comitato, Jack Warner (Trinidad e Tobago), avrebbe comprato i biglietti per il Mondiale in Sudafrica a 84mila dollari, per poi rivenderli sul mercato nero. Nel 2014, il Sunday Times ha rivelato di avere mail che provavano l'esistenza di pagamenti da parte di Moammed Bil Alman ai membri del comitato Fifa per dare i loro voti al Qatar. Tra queste prove c’è proprio una tangente da 1,6 milioni fatta a Jack Warner della Trinad e Tobago.

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Il frame-fotografico della vittoria: l’ex presidente Fifa Josep Blatter comunica la vittoria e l’assegnazione del Mondiale 2022 al Qatar.

Questi sono alcuni dei membri “incorruttibili” che presero parte alle votazioni. A loro si aggiungono l’ormai ex presidente Fifa Josep Blatter (che ha recentemente riconosciuto come errore l'assegnazione del mondiale al Qatar), l’ex presidente UEFA Michel Platini e il membro appartenente al Qatar: Moammed Bil Alman, Presidente della squadra di calcio qatariota Al Ryaan, capo della Federcalcio Qatariota, membro Fifa e capo dell’AFC. La candidatura del Qatar è in parte anche merito suo. 

Le inchieste e lo scoppio del Qatargate

Le ombre di tangenti ai membri del comitato rimasero voci prive di fondamento fino al 2013. È stata France Football, rivista francese celebre per l’assegnazione del pallone d’oro, a togliere la polvere da sotto il tappeto della Fifa. L’intreccio di corruzione e collusione culminato con l’assegnazione dei mondiali in Qatar è stato chiamato Qatargate.

Diversi episodi anomali si sono infatti registrati in quel 2010 tanto caro al Qatar. Il primo è la sponsorizzazione, per il Qatar, da 1,25 milioni di euro da parte della CONCAF (Confederazione Africana di Calcio): quattro membri del comitato Fifa erano a capo di quattro federazioni africane presenti al congresso (Egitto, Camerun, Nigeria e Costa d’Avorio), e quindi decisivi per l’assegnazione dei voti. Il secondo punto d’ombra riguarda l’amichevole tra Brasile e Argentina organizzata a Doha nel novembre del 2010: la partecipazione a questa partita ha permesso alle federazioni di Argentina e Brasile di ottenere un premio di 7 milioni a testa, cifre che vanno al di sopra di quelle di qualsiasi amichevole.

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Nasser Al Khelaifi, Presidente del Paris Saint Germain e figura molto vicina all’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani

Infine, il pranzo del 23 novembre all’Eliseo tra l’ormai ex Presidente francese Sarkozy, il Principe Bin Hamad al Thani e Michel Platini. A margine di questo pranzo, pare che Platini sia stato convinto a dare il proprio voto alla candidatura del Qatar in cambio di investimenti nel campionato francese. Oltre a questo, c'è la creazione di diversi canali sportivi francesi dell’emittente di BEIN Sport del gruppo BEIN media, di proprietà dello stesso Nasser Al Khelaifi, ad oggi Presidente del Paris Saint Germain. Tutto questo coincide proprio con il periodo dell’acquisizione da parte del fondo Sovrano Qatar Authority del Paris Saint Germain. I soldi del fondo qatariota, inoltre, avrebbero finanziato la cattedra in Etica e Sicurezza dello sport alla Sorbona, affidata a Sophie Dion, anche lei presente all’Eliseo e consulente dello stesso Sarkozy per le questioni sportive.

Alla luce di ciò, bisogna anche sottolineare che, dei ventidue membri del comitato esecutivo Fifa che hanno assegnato il mondiale al Qatar, dieci sono stati radiati dal comitato etico della Fifa e incriminati dal dipartimento di giustizia degli Stati Uniti.

La costruzione della Nazionale del Qatar 

La tradizione calcistica del Qatar è pari a zero. Le norme Fifa per la convocazione in Nazionale valgono per tutti: per prima cosa, il calciatore deve avere la cittadinanza del Paese per cui gioca, ed esserne assoggettato alle leggi. Chi, ad esempio gioca, in un Paese da diversi anni senza esserne cittadino, anche con doppio passaporto, non può essere convocato.  

Lo Stato arabo è, a livello internazionale, uno di quelli dove risulta più difficile ottenere la cittadinanza. Per la naturalizzazione servono dai venti ai venticinque anni (quindici per gli arabi), e lo ius sanguis vale solo da parte di padre. Per questo, chi è filgio di madre qatarina e padre straniero non può considerarsi cittadino del Qatar, e si vede negato il doppio passaporto.

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Di fronte alle difficoltà di naturalizzazione dei giocatori, l’Emirato del Qatar ha creato, nel 2004, l’Aspire Academy, un’agenzia indipendente che, però, risponde direttamente a Hamad Bin Khalifa al-Thani, l’emiro del Qatar. Lo scopo era quello di creare e formare giocatori e atleti qatarini nelle varie discipline sportive, tra cui ovviamente il calcio. L’obiettivo governativo per l’Academy è quello di creare, entro il 2030, "un capitale umano e sportivo che possa arricchire tutta la società qatarina", e dare prestigio al Qatar nelle manifestazioni sportive internazionali. Per arrivare a questi obiettivi, l’Aspire Academy ha reclutato "insegnanti, allenatori, medici sportivi, ricercatori di provata professionalità internazionale".

Oltre a formare, allenare e istruire i giovani calciatori, però, questa accademia lavora sulle pratiche di naturalizzazione dei calciatori stranieri. Cresce, di conseguenza, anche l’attività di scouting in giro per il mondo per scovare i talenti migliori, naturalizzando poi i più giovani e aumentando così il bacino dei giocatori da selezionare. Nella rosa del Qatar ai Mondiali, sono solo sette i giocatori nati e cresciuti in Qatar, mentre quattro quelli naturalizzati. Tutti gli altri calciatori provengono da altre comunità arabe e sono arrivati nel piccolo emirato da bambini, o nati a Doha. Fra questi, l’attaccante Almoez Ali, arrivato nell’Emirato dal Sudan all’età di sette anni ed entrato poi nell’Aspire Academy a dodici. In seguito, il calciatore è stato girato ad altre squadre europee.

Inoltre, per arrivare nelle migliori condizioni, la federazione del Qatar ha deciso di sospendere il campionato locale lo scorso settembre, così da concentrare gli sforzi della Nazionale in vista del Mondiale. I risultati di questo programma ultra-decennale, però, non hanno avuto l’effetto sperato: ultimo posto nel girone A, un solo gol fatto e sette subiti. A livello statistico, la peggior Nazionale ospitante dal 1930.

L’immagine del Qatar

Quello che ha fatto il Qatar va oltre l’organizzazione del Mondiale stesso. Come abbiamo detto in precedenza, tutto ciò che vediamo a livello calcistico, in questo momento, è frutto di scelte prese anni fa, e che non riguardano solo la costruzione della Nazionale. Tra i numerosi tasselli di questo puzzle c’è Nasser Al Khelaifi, uomo di fiducia dell’emiro del Qatar e Presidente del Paris Saint Germain, la migliore squadra francese in Ligue 1. Prima dell’acquisizione di Al Khelaifi tramite il fondo di investimento sportivo qatariota Qsi, il Paris Saint Germain navigava stabilmente nel centro classifica del campionato francese. A livello internazionale, il club parigino contava poco o nulla.

Fuori dal calcio che conta fino al 2010, attualmente, grazie agli investimenti qatarioti, non solo è una delle quattro squadre più forti al mondo, ma può contare in rosa fuoriclasse del calibro di Lionel Messi, Neymar e Kylian Mbappé. Questi tre, inoltre, sono tra i favoriti al Mondiale con le rispettive nazionali (Argentina, Brasile e Francia). Quale miglior vetrina, per il Qatar, che vedere come protagonisti i calciatori di un club di un fondo qatariota?

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Le stelle del Mondiale 2022: da sinistra Neymar Jr (Brasile), Kylian Mbappé (Francia) e Lionel Messi (Argentina). I tre fuoriclasse, insieme, formano il tridente d’attacco titolare al Paris Saint Germain.

Il Presidente Al Khelaifi ha dovuto lottare non poco per tenere insieme questo tridente d’attacco. Pensiamo al caso del rinnovo del francese Kylian Mbappé: alla sua età, 23 anni, è probabilmente il miglior calciatore al mondo. Nel 2021 ha dichiarato più volte di non voler rinnovare il suo contratto con il PSG e di voler cambiare aria. Il Real Madrid fiutò l’affare e tentò di trovare l’accordo con il giocatore, in procinto di svincolarsi a zero. Ma il PSG non ci stette e rifiutò 180 milioni di euro. Una cifra incredibile, per un calciatore che nella finestra di mercato estiva poteva cambiare squadra a zero euro. Ma Al Khelaifi e la dirigenza parigina sono fiduciosi che alla fine il loro calciatore rinnoverà, basta presentare l’offerta giusta. E l’offerta giusta è una montagna di soldi: 636 milioni di euro in tre anni (due con opzione per il terzo). Stipendio da 72 milioni di euro lordi a stagione. 216 milioni in tre anni. Già questa cifra lo mette al primo posto tra i calciatori più pagati al mondo.

Ma sono i bonus che lasciano a bocca aperta: altri soldi riguardano il bonus alla firma di 180 milioni di euro suddivisi in tre rate e un bonus "fedeltà" di 240 milioni di euro se completa il triennio al Paris Saint Germain. Nel dettaglio, il contratto prevede 70 milioni di euro se rimanesse al Psg fino a giugno 2023, 80 milioni se restasse anche a giugno 2024 e 90 milioni se non si trasferisse nel giugno 2025. In più, tutta una serie di benefici a livello sportivo e dirigenziale.

Nonostante la giovane età, Mbappé può esprimere opinioni in merito al mercato del club su calciatori e allenatori, un’operazione che ha permesso al PSG non solo di trattenere con i soldi il calciatore più forte, ma anche di tenerlo con sé in corrispondenza della vetrina più importante per il Qatar: il Mondiale. Perché l’obiettivo del Qatar è quello di mettersi al centro del mondo. Sulla mappa del mondo. E il PSG è solo la punta dell’iceberg di una strategia volta a promuovere il calcio Qatariota. Le squadre locali, infatti, sono state il finale di carriera di numerosi calciatori: Guardiola (Al-Ahli Sports Club), Mandzukic (Al-Duhail Sports Club), Batistuta (Al-Arabi Sports Club). Nomi che hanno dato risalto, seppur moderato, al calcio in Qatar. 

Al netto di tutta questa storia, il Mondiale in Qatar, più di ogni altro precedente calcistico, ha messo al centro di tutto una grande montagna di soldi. Ed è solo grazie a questi che, probabilmente, al netto del programma organizzativo per il torneo, il Paese ha ottenuto l’assegnazione dell'evento. 

Andrea Cicalò

Andrea Cicalò

Il cognome può disorientare ma sono nato e cresciuto in Sardegna. Studiare giornalismo ed editoria mi ha portato a Parma per due anni. Leggo, scrivo, esploro. Attualità, società e sport sono la mia calamita principale. Amo avventurarmi in mezzo alla natura e alle montagne nonostante le mie vertigini. Tuttavia, non rinnego la filosofia “Divano e serie tv”.

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