Per "crimini di guerra" si intende la violazione delle leggi che disciplinano il diritto bellico. Si tratta sostanzialmente di gravi reati, che vanno dalla tortura di civili e prigionieri all'utilizzo di determinate armi e pratiche militari, commessi durante un conflitto e in contrasto con le norme del diritto internazionale. Più precisamente, i crimini di guerra si dividono in quattro grandi categorie: crimini contro persone protette (civili, personale umanitario e volontari); crimini contro beni protetti (ospedali, edifici civili, monumenti e musei); crimini compiuti con l'uso di mezzi vietati (come armi chimiche e alcuni tipi di bombe); metodi di combattimento vietati (quali l'uso di civili come scudi umani e l'interruzione dei rifornimenti alimentari nel Paese avversario).
A disciplinare il diritto bellico sono tutta una serie di trattati e statuti internazionali, i più importanti dei quali sono le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga. La prima Convenzione di Ginevra risale addirittura al 1864, ma le decisioni più importanti furono prese soltanto nel 1949, in seguito agli eventi della Seconda guerra mondiale. Il loro obiettivo è garantire il rispetto della vita e l'incolumità fisica e psichica delle persone coinvolte in un conflitto. Per questo motivo, vietano e condannano qualsiasi atto di violenza e forma di sopruso commesso a danno di civili, malati, feriti e prigionieri di guerra. Insieme ai loro Protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005, queste Convenzioni costituiscono la base del diritto internazionale umanitario.
Conferenza di Ginevra, 1949 (©ICRC archives (ARR))
I Principi di Norimberga, invece, sono un insieme di principi sanciti con un documento redatto nel 1950, in seguito al cosiddetto "Processo di Norimberga" - l'insieme di processi che vide i gerarchi nazisti giudicati per i loro crimini commessi durante la Seconda guerra mondiale e nell'ambito della Shoah. Il documento sancisce alcuni dei principi cardine del diritto internazionale, come la "responsabilità della persona" nell'obbedire ad ordini provenienti dal proprio Governo o dai propri superiori, ed elenca alcuni crimini di guerra. Tra questi, l'omicidio volontario e la deportazione di civili, il saccheggio di proprietà pubbliche e private e la devastazione di città non giustificata da "necessità militari".
A questi trattati si aggiungono poi altre Convenzioni più "specifiche", come quelle dell'ONU, che vietano l'uso di determinate armi (bombe a grappolo e missili termobarici) e alcuni impieghi delle mine antiuomo.
Ad accertare e punire il compimento di crimini di guerra è la Corte penale internazionale (CPI), un tribunale per crimini internazionali istituto nel 2002 con sede all'Aia (Paesi Bassi). La sua competenza riguarda i crimini più gravi che possano coinvolgere la comunità internazionale, ovvero crimini di guerra, crimini contro l'umanità, genocidi e crimini di aggressione. Tuttavia, la sua giurisdizione è limitata ai soli Paesi che hanno deciso di accettarla aderendo allo Statuto di Roma del 1998, il trattato che ne ha sancito la nascita. Tra i grandi esclusi, troviamo proprio i protagonisti del conflitto che da oltre un mese sta dilaniando l'Europa e il mondo intero: l'Ucraina, infatti, non ha mai nemmeno firmato lo Statuto – non ha cioè mai dato il proprio consenso al documento –, mentre la Russia lo ha firmato senza ratificarlo – ossia senza vincolarsi al suo rispetto.
La Corte penale internazionale non va inoltre confusa con la Corte internazionale di giustizia, che è invece un organo delle Nazioni Unite, sempre con sede all'Aia. Tra CPI e ONU esiste però un legame, regolato dall'articolo 13b dello Statuto di Roma: in base a questo articolo, il Consiglio di sicurezza dell'ONU può richiedere alla CPI di esaminare e pronunciarsi in merito a situazioni che vanno anche al di là della sua giurisdizione.
Sebbene anche nel caso dei crimini di guerra valga il principio per cui si rimane innocenti fino a prova contraria, le notizie che quotidianamente arrivano dall'Ucraina fanno ragionevolmente pensare che i russi siano realmente colpevoli di questo tipo di crimini. I massacri di Bucha, le torture e gli stupri denunciati da centinaia di civili ucraini e gli attacchi all'ospedale pediatrico di Mariupol e alla stazione di Kramatorsk sono solo alcuni dei crimini di guerra di cui i russi si sono macchiati da quando hanno invaso l'Ucraina. Crimini documentati con cura nell'archivio digitale ucraino Russia’s war crime, e di cui tutti – almeno in questa parte del mondo – siamo a conoscenza.
Di fronte a questi orrori, la domanda che tutti si pongono è una sola: i russi pagheranno mai per questi crimini?
Bucha, aprile 2022
All'atto pratico, è ancora presto per dirlo. Ma le premesse, purtroppo, non fanno ben sperare. Infatti, anche ammesso e non concesso che le indagini attualmente in corso dimostrino l'effettiva colpevolezza dei russi, perseguire questi ultimi per i loro crimini appare estremamente improbabile. Questo, soprattutto, per via di quanto descritto poc'anzi, ossia per il fatto che la Russia non ha mai ratificato lo Statuto di Roma. Questo "tecnicismo" pone infatti un ostacolo tanto semplice quanto inaggirabile: non si può punire un Paese per dei crimini che non si è impegnato a non commettere; tanto più se l'organo preposto a farlo è una Corte di cui il Paese in questione non riconosce nemmeno la giurisdizione.
Altrettanto semplice è il motivo che impedisce anche di ricorrere all'intervento dell'ONU affinché la Corte internazionale di giustizia si pronunci. Perché ciò avvenga, infatti, è necessaria l'autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU, sulle cui decisioni alcuni Paesi, tra cui proprio la Russia, hanno potere di veto.
Questa possibilità consiste nell'appellarsi al cosiddetto principio della "giurisdizione universale", un principio del diritto internazionale che considera alcune norme internazionali talmente rilevanti da essere valide in tutto il mondo, a prescindere dalle decisioni dei singoli Stati. Tra queste figurano norme che vietano crimini particolarmente gravi come i genocidi e, appunto, i crimini di guerra. Appellandosi a questo principio, si potrebbe consentire a un tribunale nazionale non russo di processare Putin e altri funzionari e generali russi per crimini - sempre e comunque da dimostrare - commessi nei confronti di cittadini non russi.
Ad ostacolare il ricorso a questa procedura è il divieto di svolgere questo eventuale processo in absentia, ossia senza gli imputati fisicamente presenti in aula. Questo significa che per condurre tale processo bisognerebbe arrestare Putin e gli altri possibili indagati. Il problema è che, in mancanza di una polizia sovranazionale, le procedure di arresto potrebbero essere condotte solamente dalla polizia russa, direttamente controllata dalle stesse persone che dovrebbe arrestare.
In questa situazione, come comunità internazionale siamo abbastanza impossibilitati a punire i responsabili dei crimini di guerra a cui stiamo assistendo da settimane. Quel che però possiamo e dobbiamo fare è continuare a lavorare per arrivare il più in fretta possibile a una risoluzione diplomatica del conflitto.
Raggiunto questo obiettivo fondamentale, saremo chiamati a far luce sui crimini di guerra commessi in Ucraina e ad imparare tutto ciò che questo conflitto ha da insegnarci. D'altronde, anche se dimostrare la colpevolezza dei russi difficilmente permetterà di punire i responsabili, servirà comunque al mondo per avere gli elementi su cui costruire i futuri rapporti con la Russia. Allo stesso modo, constatare i limiti degli attuali organi internazionali - figli di un mondo che di fatto non esiste più - permetterà di costruire una comunità internazionale più forte e realmente capace di affrontare le sfide del nostro tempo.
Umile umanista di Novara, cresciuta tra campi di basket e montagne di libri. Non dico mai no a una fetta di pizza e a una passeggiata tra amici. Leggo, guardo e ascolto tutto ciò che dà senso e ordine al (mio) mondo. Per lo stesso motivo, scrivo. Non amo le etichette, ma se dovessi sceglierne una per me sarebbe “pragmatica”.