• La redazione
Lo streaming sta davvero uccidendo il cinema?
12 giugno 2022

Lo streaming sta davvero uccidendo il cinema?

Negli ultimi tre anni, il nostro modo di guardare i film è cambiato radicalmente: nuove piattaforme di streaming si sono aggiunte alle tante già esistenti; le grandi case di produzione hanno affiancato alle uscite in sala quelle sulle piattaforme proprietarie; la pandemia ha fatto sprofondare gli incassi cinematografici e lievitare gli abbonamenti alle piattaforme, accelerando una tendenza che si stava già concretizzando da un po’.

Dopo essere sopravvissuto alla televisione e all’Home Video, il cinema morirà per colpa dello streaming? Probabilmente no – perlomeno non del tutto –, ma di certo le piattaforme sono diventate ormai una parte importantissima del mercato audiovisivo.

Cinema vs streaming

Un buon modo per capire la salute del cinema è guardare gli incassi al botteghino. Fra il marzo 2020 e il marzo 2022 – cioè più o meno fra l’inizio della pandemia e la sua presunta fine –, le casse hanno chiaramente languito. Nel 2020, il film che ha guadagnato di più (400 milioni) è stato la pellicola cinese The Eight Hundred – ma è uscita solo in patria. Nel 2021, invece – escludendo Spiderman - No Way Home (un miliardo e 800 milioni) –, gli incassi più alti si sono aggirati intorno ai 650 milioni: l’ultimo Bond, il sequel di Venom, Fast and Furious 9. La maggior parte dei film, però, ha faticato a superare i 350/400 milioni. Questo dimostra che la pandemia – per forza di cose – ha azzoppato le sale, non toccando però i maxi-eventi come Spiderman. 

Nel 2019, il cinema stava ancora bene. I primi tre incassi di quell’anno furono Avengers: Endgame (2 miliardi e 797 milioni), Il Re Leone (poco più di un miliardo e mezzo) e Frozen II (un miliardo e 400 milioni). In generale, i primi nove incassi di quell’anno superarono tutti il miliardo. 

Di contro, il mercato dello streaming sta crescendo. Come dimostra il 2020 Theme Report della Motion Picture Association – associazione formata da Disney, Sony, Paramount, Netflix, Universal e Warner Bros per promuovere gli interessi delle case di produzione –, il mercato cinematografico è crollato dell’80% e quello digitale è cresciuto del 33%. In realtà, le sale erano già in crisi – l’incasso complessivo del 2019 fu 11,4 miliardi, quello dell’anno prima 11,8 –, ma la pandemia ha assestato comunque un colpo durissimo.

Una volta che il pubblico generalista impara a guardare certi film a casa, probabilmente non tornerà indietro tanto facilmente; piuttosto, andrà al cinema e guarderà i film sulle piattaforme interscambiabilmente. D’altro canto, almeno in America, il prezzo dei biglietti cinematografici sta salendo vertiginosamente. Molte persone, magari – invece di andare al cinema con tutta la famiglia –, preferiscono spendere il prezzo di un singolo biglietto per avere un mese di contenuti in streaming – anche se certi aumenti sono dovuti a tecnologie come il 3D o a formati come l’IMAX, che a casa non ci sono. Un esempio pratico potrebbe essere Black Widow, rilasciato sia al cinema che su Disney+ con accesso VIP a circa 20 dollari. Una famiglia di quattro persone, comprandolo sulla piattaforma, avrebbe speso molto meno rispetto al cinema, e avrebbe potuto riguardarlo tutte le volte che voleva. 

Le piattaforme streaming in Italia

Attualmente – anche se non è un elenco completo –, nel nostro Paese sono disponibili le seguenti piattaforme: Netflix, Prime Video, NOW, TIMvision, Apple TV+, Rakuten TV, StarzPlay, Disney+, Mediaset Infinity, Rai Play, Chili, DAZN, Facebook Watch, Discovery+, Vvvvid, Crunchyroll, MUBI, Sky Go, Pluto Tv, Dekkoo, GuideDoc. Ognuna di esse ha piani di abbonamento e contenuti diversi.

Netflix e Prime Video sono quelle più “generaliste”: prodotti originali diventati fenomeni pop – Stranger Things, The Boys, La casa di carta, La fantastica signora Maisel –, film, serie tv, reality programmi vari. Tramite Prime Video, poi, è possibile sottoscriversi a diversi canali, pagando un sovrappiù e – di fatto – implementando dentro l’App delle altre piattaforme, come StarzPlay e Discovery+.

Il servizio di Amazon è compreso nel pacchetto Prime – 3,99 euro al mese o 36 euro all’anno –, che comprende anche le spedizioni veloci, Amazon Photos e un altro paio di cose. Di certo, considerando la quantità dei contenuti e il prezzo, è il più conveniente.

Netflix presenta tre diversi piani di abbonamento per venire incontro a tutte le tasche. Il Piano Base costa 7,99 euro al mese, permette di accedere soltanto su un dispositivo alla volta ed è in definizione standard (SD). Il Piano Standard costa 12,99 euro al mese, include l’accesso su due dispositivi ed è in Full HD. Il Piano Premium costa 17,99 euro al mese, si estende a quattro dispositivi ed è in 4K. 

Prime Video, invece, permette di usare tre dispositivi alla volta, sempre in HD, e così fa Disney+ – anche se i dispositivi salgono a quattro. Inoltre, Netflix permette di creare “solo” cinque profili, mentre Prime Video ne ha sei e Disney+ sette. In questo senso, è abbastanza palese che Netflix non viene davvero incontro a tutte le tasche, perché il piano Base senza HD non regge il confronto con l’abbonamento di Disney+, che costa un euro in più e ha la massima qualità video che il proprio dispositivo può supportare.

In ogni modo, la piattaforma di Disney è il terzo colosso dello streaming in Italia. Può contare sulle proprie produzioni, su film e serie originali e su tutto il catalogo Fox, quindi anche su alcuni dei brand più importanti della cinematografia tout courtStar Wars e Marvel su tutti. Il prezzo mensile, come anticipato, è 8,99 euro, mentre quello annuale 89,99. 

Nell’abbonamento è compreso Star, un canale della piattaforma per i contenuti vietati ai bambini, e cioè – di base – la maggior parte dei prodotti Fox. Star è disattivabile tramite il Parental Control, ma il prezzo dell’abbonamento – pur subendo un drastico calo di contenuti – rimane uguale.

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La Home Page di Disney+

Apple TV+ costa 4,99 euro al mese, ma se si compra un prodotto Apple è gratis per un trimestre; con AppleOne, invece – una specie di Prime di Amazon –, si possono avere cinque servizi dell’azienda, compresa la piattaforma, a 14,95 euro al mese. Apple TV+ punta tutto sulle produzioni originali.

NOW è la piattaforma streaming di Sky, e i contenuti sono praticamente gli stessi. L’abbonamento è diviso in Ticket: un Ticket costa 9,99 euro al mese, due Ticket 14,99 e tre Ticket 19,99. I Ticket sono Cinema, Serie Tv e Intrattenimento (che comprende i programmi originali come X Factor e Masterchef). In pratica, per avere gli stessi contenuti di Netflix – serie, film e programmi vari – si devono pagare 19,99 euro. In tutto questo, chiaramente, è escluso lo sport: il Ticket costa 6,99 euro al giorno, 10,99 alla settimana o 29,99 al mese. 

29,99 euro al mese è lo stesso prezzo di DAZN, piattaforma dedicata solo ed esclusivamente allo sport – a qualunque sport. Quest’anno la piattaforma aveva la maggior parte dei diritti per la serie A, quindi – a parità di costo – era sicuramente più conveniente di NOW.

TIMvision è la piattaforma del Gruppo TIM. Costa 6,99 euro al mese, e permette anche di noleggiare o acquistare i film – proprio come su Prime Video. TIMvision ha siglato diverse partnership con quasi tutte le piattaforme più importanti – Netflix, Disney+, DAZN –, in modo tale da dare ai clienti pacchetti esclusivi con prezzi dedicati. Ha anche – pochi – contenuti originali.

RakutenTV è un servizio spagnolo di vendita, noleggio e streaming. L’abbonamento costa 4,99 euro al mese e comprende pellicole di varie case di produzione. Compresi nell’abbonamento ci sono soltanto film e serie non troppo accattivanti, tipo Triassic World e The Amazing Wizard of Paws.

Chili è RakutenTv senza abbonamento. Registrarsi, infatti, è gratis – e gratuitamente sono disponibili diversi film sul tenore di quelli dell’altra piattaforma –, ma ogni contenuto noleggiato o acquistato si paga. 

StarzPlay è il servizio del canale americano Star. L’abbonamento costa 4,99 euro al mese e propone solo i contenuti andati in onda su Star.

Su Rai Play ci sono alcuni contenuti originali – pochi – e tutti i programmi e i film andati in onda sui vari canali. Sulla piattaforma è presente anche diverso materiale storico dagli archivi.

Mediaset Infinity si basa sul modello freemium: i programmi tv dei canali pubblici sono disponibili gratuitamente con la pubblicità; la piattaforma Infinity è a pagamento. L’abbonamento costa 7,99 euro al mese, 39,99 ogni sei mesi o 69,00 euro all’anno, e c’è anche la possibilità di noleggiare i film. I contenuti originali scarseggiano, ma ogni tanto ci sono alcune – scarse – anteprime esclusive. Menzione a parte va fatta per Witty Tv, la piattaforma gratuita dove rivedere tutte le puntate di tutti i programmi di Maria De Filippi – e quelli prodotti dalla sua società.

Facebook Watch è la piattaforma di Facebook. È gratuita, ha la pubblicità e finora non ha riscosso un grande successo – anche se sono usciti diversi contenuti originali, fra cui una serie con Elizabeth Olsen.

Vvvvid e Crunchyroll sono due piattaforme streaming specializzate in anime. La prima è gratuita con pubblicità o costa 4,99 euro al mese senza, e oltre agli anime ha anche dei film. Crunchyroll, invece, ha tre piani di abbonamento: FAN, a 4,99 euro al mese; MEGAFAN, a 6,49 euro al mese; MEGAFAN, a 64,99 euro all’anno. La differenza far FAN e MEGAFAN è sul numero di dispostivi e sulla possibilità di scaricare i contenuti offline. La versione gratuita di Crunchyroll ha la pubblicità, ma non le puntate più recenti degli anime.

Discovery+ è la piattaforma streaming del network americano Discovery. Tramite diverse soluzioni di abbonamento, l’App propone tutti i programmi dei canali della rete – NOVE, Real Time, DMAX, Eurosport… eccetera. Costa 3,99 euro al mese o 39,90 euro all’anno, ma aggiungendo lo sport si sale a 7,99 al mese o 69,90 all’anno.

MUBI è una piattaforma streaming per film d’autore. L’abbonamento costa 9,99 euro al mese o 71,88 euro all’anno, ma gli studenti pagano solo 6,99 euro al mese. 

A Sky Go possono accedere solo i clienti Sky. Dekkoo – 8,41 euro al mese – è una piattaforma dedicata a contenuti LGBTQIA+, con un’attenzione particolare sugli uomini gay. GuideDoc, al prezzo di 7,99 euro al mese, mette a disposizione un sacco di documentari. Pluto Tv è una tv online: è gratis, ha la pubblicità e offre 50 diversi canali con contenuti variegati.

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I problemi dello streaming

Negli ultimi due anni, il numero di piattaforme streaming in Italia – e nel mondo – è praticamente raddoppiato. Fra il 2019 e il 2022, giusto per fare un esempio, sono state lanciate almeno tre piattaforme “colossali”, e cioè Disney+, Apple TV+ e HBO Max. La saturazione del mercato, nel futuro, comporterà di certo alcuni problemi facilmente prevedibili.

Prendiamo un utente qualsiasi abbonato a Netflix, Prime Video e Disney+. Anche dividendo l’abbonamento più costoso con un amico – problematica su cui torneremo più avanti –, il nostro utente pagherà comunque circa 20 euro al mese. Se fosse un tifoso sfegatato che non può fare a meno della serie A, poi, la sua spesa mensile – che scelga NOW o DAZN – salirebbe a 49,99 euro. È evidente che non tutti possano permettersi di spendere 50 euro al mese, perciò molti devono “sacrificare” alcune piattaforme. L’ideale sarebbe disdire una piattaforma e abbonarsi a un’altra, poi tornare a quella di prima e disdirne una terza – e così via –, ma forse il gioco non varrebbe la candela.

Il problema è che i contenuti sono spalmati ovunque. Gli appassionati dell’universo di Star Wars e di quello della Marvel non possono prescindere da Disney+, ovviamente, però su Netflix escono tantissime serie, Prime Video fa parte di un pacchetto super allettante che comprende anche la spedizione veloce di Amazon e su NOW ci sono le serie di HBO. E come si può seguire l’ultima stagione de L’attacco dei giganti se non ci si abbona a Crunchyroll?

Lentamente, le grandi case di produzione stanno lanciando le loro piattaforme proprietarie – Disney con Disney+, Warner con HBO Max... eccetera –, e presto si arriverà a un punto in cui ogni piattaforma avrà solo contenuti esclusivi. Anche se su Netflix ci sono centinaia di film, infatti, la maggior parte sono in licenza, e resteranno sulla piattaforma per un tempo prestabilito. Un giorno, quando tutte le licenze scadranno, le piattaforme potranno contare solo sui prodotti esclusivi: se Disney+ e HBO Max non se la caveranno male – del resto, la Warner è “solo” quella di Harry Potter –, altre non saranno così fortunate. È questo il motivo per cui Netflix produce circa 400 contenuti all’anno – per essere coperta quando non potrà più contare sui film di “altri”.

Le majors puntano sullo streaming perché la tendenza è questa già da diverso tempo. La pandemia ha semplicemente accelerato le cose, creando una situazione a cui forse saremmo giunti nel corso di molti più anni. Nell’ottica delle case di produzione, poi, le piattaforme sono un vantaggio: mentre il costo di un biglietto cinematografico va diviso con gli esercenti, l’abbonamento è tutto loro.

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La Home Page di Prime Video

Un altro problema è il numero massimo di abbonati possibile – e il tipo di abbonati. Il mondo è pieno di persone non appassionate che si sono iscritte soltanto a Netflix perché ce l’hanno tutti e perché lì ci sono abbastanza film per soddisfarle – persone che se ne fregano delle nuove serie di Star Wars o di quelle su Apple TV+. Senza contare che gli abitanti del pianeta non sono infinti, e non tutti hanno i soldi per permettersi un abbonamento o una connessione.

Un giorno si arriverà al punto in cui non sarà più possibile trovare nuovi abbonati, perché quelli che volevano farlo e potevano permetterselo sono già dentro. Mentre le piattaforme continueranno a incassare sempre la stessa cifra, le loro spese saranno sempre più elevate, perché dovranno produrre contenuti accattivanti per tenersi stretti gli iscritti. Ecco perché molte piattaforme stanno pensando di inserire dei nuovi piani di abbonamento con la pubblicità – perché gli spot sono entrate sicure che possono sopperire a questo problema. Problema che il cinema non ha mai avuto: una persona potrebbe andare a vedere tutti i film che escono o potrebbe non andarci mai, portando incassi sempre variegati che possono far rientrare o meno le case di produzione dalle spese.

La saturazione, insomma, potrebbe portare a una stagnazione, che potrebbe condurre alla pubblicità, che potrebbe infastidire gli utenti abituati senza, che potrebbero abbandonare le piattaforme. Oppure le persone potrebbero semplicemente fregarsene o stufarsi del servizio anche senza spot. Molte piattaforme, in realtà, hanno aggiunto gli spot pubblicitari già da tempo, proponendo fasce di abbonamento con e senza.

In ogni modo, una volta raggiunto il limite massimo si può solo scendere, e infatti Netflix ha subito un calo d’abbonamenti per la prima volta nella sua storia. In un certo senso, però, era prevedibile: è la piattaforma più diffusa, chi voleva abbonarsi probabilmente l’ha già fatto e la qualità dei prodotti è in caduta libera da tempo; era fisiologico che prima o poi sarebbe arrivata una défaillance.

Infine, la suddivisione dei contenuti su decine di piattaforme diverse potrebbe riportare in auge la pirateria. Ci si abbona solo a una piattaforma – perché ci si può permettere solo quella o per risparmiare – e tutto il resto lo si guarda illegalmente.

Ma come sta la pirateria?

Un tempo, per guardare un qualsiasi film, era necessario noleggiarlo in DVD o aspettare la messa in onda in televisione, perciò siti come gli ormai leggendari cineblog01 e altadefinizione erano l’alternativa più semplice. L’arrivo di Netflix, però – con un catalogo pressoché infinito di prodotti originali e non –, diede un brusco colpo alla pirateria: adesso era praticamente impossibile non trovare almeno un film da vedere fra i tanti proposti, e tutto per pochi euro. Per la prima volta, come scrive The Streamable, “la pirateria divenne l’alternativa più complicata”.

Negli anni, tuttavia, a Netflix si sono affiancate decine di nuove piattaforme, generando una situazione del tutto nuova. La moltiplicazione incontrollata di questi siti ha causato una frammentazione dei contenuti, e per gli appassionati è diventato difficile vedere tutto. Banalmente, qualcuno potrebbe decidere di continuare a pagare un abbonamento solo – o due – e vedere tutto il resto illegalmente.

La pandemia e i vari lockdown non solo hanno fatto crescere gli abbonamenti alle piattaforme streaming – non potendo uscire di casa, era un modo come un altro per passare il tempo –, ma hanno fatto aumentare anche gli accessi ai siti pirata. Secondo il Wall Street Journal, nel 2020 l’Italia è stato uno dei Paesi con l’incremento maggiore nello streaming illegale – oltre il 50%. 

La pirateria è in aumento anche nel resto del mondo. Secondo MUSO, nel primo quadrimestre del 2022 c’è stato un incremento generale rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – in media del 29,3%. Il settore più piratato è quello dell’editoria, con un accento particolare sui manga. Film e serie, invece, sono aumentate rispettivamente del 42,5% e del 19,2%. I due Paesi più “truffaldini” sono Stati Uniti e Russia.

Il Post fa notare che nel 2021 molti film sono usciti in contemporanea al cinema e in streaming – il riferimento è all’operazione della Warner Bros. –, generando più danni che altro. Anche se gli abbonati alla piattaforma della Warner sono aumentati, infatti, ci sono state proteste da parte dei registi che avevano girato pellicole per la sala e se le sono ritrovate in streaming, proteste da parte degli esercenti e ringraziamenti a profusione da parte dei siti pirata. 

Quando un film esce solo al cinema, ottenere una buona ripresa da caricare su un qualsiasi sito illegale è complesso. In genere sono bootleg con audio e video pessimi. “Rubare” un film da una piattaforma streaming, invece, è molto più facile, e garantisce una qualità pressoché perfetta.

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Fotogramma dal classico spot anti-pirateria che una volta era prima di ogni film in DVD

I siti pirata continuano a esistere perché molte persone non si fanno remore a fruire di un contenuto illegale, o perché non possono permettersi un abbonamento. Nonostante questo, prima della pandemia la pirateria era effettivamente in calo. Il settore più “fortunato” è la musica, con una diminuzione – fra il 2017 e il 2020 – dell’81%. Il cinema è sceso del 68% e le serie tv del 41%.

I motivi potrebbero essere intuibili. Le piattaforme streaming per la musica, di fatto, non hanno concorrenza – Spotify domina e le altre seguono –, mentre Netflix e amici, prima di diventare così tante, erano generalmente l’alternativa migliore. Senza contare che si può sempre condividere l’abbonamento con un conoscente e spendere meno.

Quando c’è troppa scelta, non c’è nessuna scelta

Anche se moltissime persone dividono l’abbonamento di Netflix e delle altre piattaforme con gli amici, nel contratto di sottoscrizione è chiaramente specificato che la pratica è vietata. In effetti, essendo il prezzo dell’abbonamento massimo di Netflix quasi 18 euro al mese, per due amici è conveniente spendere la metà e fruire di tutto ciò che la piattaforma mette e disposizione. La maggior parte delle persone non può permettersi cifre esagerate per avere più abbonamenti – almeno che non siano super appassionati che rinunciano ad altre spese –, perciò la condivisione è l’unica strada “legale”.

L’azienda, negli ultimi tempi, ha avviato una serie di procedure per arginare la pratica – che, nella loro ottica, toglie fatturato –, ma finora non è stato fatto nulla di davvero concreto. Le possibilità sono due: aggiungere la pubblicità e abbassare l’abbonamento in modo da attirare una fascia di pubblico disposta ad accettare il compromesso, oppure circoscrivere l’accesso soltanto ad alcuni dispositivi. Al momento, nessuna delle due cose è certa, perché la seconda è complessa a livello pratico e la prima sarebbe un tradimento di ciò che Netflix è stata finora. I continui aumenti di prezzo dell’abbonamento, inoltre, potrebbero essere letti come una momentanea resa da parte della piattaforma: l’azienda sa che un abbonamento Premium è probabilmente condiviso, perciò aumentarlo di un euro farà lievitare la spesa del singolo di soli 50 centesimi. La vera domanda, a questo punto – posto che Netflix riesca a impedire la condivisione degli abbonamenti –, è: saranno più le persone ormai dipendenti dalla piattaforma che faranno un abbonamento tutto loro – anche se la usano poco e la qualità è calata –, oppure saranno più quelle che penseranno che non ne vale la pena e migreranno su piattaforme diverse?

Uno dei motivi che spinge le persone a condividere l'abbonamento – o a sceglierne solo uno – potrebbe essere proprio la frammentazione estrema dei contenuti. Di fatto, è praticamente impossibile conoscere ogni singolo film del catalogo di una piattaforma. Il luogo comune della serata trascorsa a decidere cosa guardare anziché a guardare davvero qualcosa non è così stereotipato, e nei prossimi anni la situazione si espanderà anche a tutte le altre piattaforme a cui si è abbonati. Che senso ha, per uno spettatore non appassionato, avere più abbonamenti? La vastità del catalogo di Netflix o di Prime è più che sufficiente. 

In un certo senso, il mondo del cinema e delle serie tv è ironico. Benché oggi vedere un film sia più facile che mai, infatti – fra abbonamenti costosi, scelte difficili, contenuti sparsi su piattaforme diverse e pirateria –, è paradossalmente anche più complicato.

Alessandro Mambelli

Alessandro Mambelli

Sono nato in Romagna (terra “solatia, dolce paese”, come scriveva Pascoli) e da qui mi sposto sempre a malincuore. Guardo un sacco di film e monto un sacco di Lego, ma a volte esco anche di casa per andare in libreria. Scrivo per capire il mondo che mi circonda, in qualsiasi forma si presenti.

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